È ora di dirlo: la bontà non ha sesso

Il problema è uno: il doppio standard, il più ipocrita dei pregiudizi. Se a uccidere fosse stato un padre, oggi avremmo, come tu ben dici, editoriali accesi sul maschio violento

È ora di dirlo: la bontà non ha sesso

Caro direttore Feltri,
Le scrivo sconvolta dopo i due casi che hanno scosso il Paese: quello di Trieste e quello di Lecce. In entrambi i casi, due bambini sono stati assassinati dalle loro madri. Mi colpisce la leggerezza con cui queste donne vengono ancora descritte come «fragili», «depresse», «incapaci di intendere e di volere». Ma se a uccidere fosse stato il padre, parleremmo di mostro, di femminicidio, di patriarcato. Perché questa differenza di trattamento? Non è forse un pregiudizio che ci impedisce di vedere la realtà? Le chiedo, direttore: non è ora di ammettere che esiste anche una violenza femminile, altrettanto crudele, che la cultura dominante continua a negare?

Con stima
Agata Branca

Cara Agata,
la tua domanda è semplice, e proprio per questo è terribile: perché continuiamo a fingere che le donne siano incapaci di fare il male? Questo inganno collettivo, questo infantilismo ideologico, ci sta costando vite innocenti. Facciamo ordine. Partiamo da ciò che è accaduto. Trieste: un bambino di 9 anni consegnato alla sua carnefice, la madre, che lo ha assassinato. Non un estraneo, non un padre violento, non un intruso nella notte, lo ha ammazzato la donna che lo ha messo al mondo. E questo dopo che il padre aveva segnalato più volte la pericolosità della donna; la ex compagna aveva minacciato il suicidio; perfino il bambino aveva confessato di avere paura a rimanere solo con la madre. E che cosa fa lo Stato, l'onnipotente tribunale, la macchina giudiziaria che si riempie la bocca di tutela dei minori? Stabilisce che la donna può vedere il figlio da sola. Senza controlli. Senza precauzioni. Senza vigilanza. Perché? Te lo dico io. Perché è donna. Perché la madre non farebbe mai del male ai figli. Questa sciocchezza, questa superstizione ideologica, ha condannato un bambino alla morte. A Calimera (Lecce), simile tragedia: un bambino di 8 anni massacrato e una madre trovata annegata. Un'altra scena da incubo. Il piccolo giaceva sul letto di casa sua, con evidenti segni di strangolamento e pure tagli sul corpo, testimonianza di una violenza prolungata, feroce, disumana. Possiamo soltanto immaginare, rabbrividendo, l'agonia di quel bimbo mentre veniva colpito, tagliato, soffocato da chi avrebbe dovuto proteggerlo più di chiunque altro. La madre viene trovata annegata in mare. Depressa, diranno. Fragile, diranno. Una vittima di se stessa. La narrativa è già scritta, la si conosce a memoria. Il problema è uno: il doppio standard, il più ipocrita dei pregiudizi. Se a uccidere fosse stato un padre, oggi avremmo, come tu ben dici, editoriali accesi sul maschio violento, talk-show sulla cultura patriarcale, tribunali mediatici in prima serata. Quando invece a uccidere è una donna, scatta automaticamente la lista delle giustificazioni: era depressa, poverina, era sola, era fragile, era disperata, non sapeva cosa faceva.

Ma quando mai la depressione ha trasformato qualcuno in un torturatore? Quando mai la tristezza spinge una persona a tagliare un bambino? A strangolarlo? A lasciarlo agonizzare?

Non scherziamo.

Queste non sono crisi di pianto: sono attitudini violente, sono gesti di crudeltà estrema, sono omicidi. E io, cara Agata, mi rifiuto, e dovremmo rifiutarci tutti, di continuare a trattare le donne come creature angelicate, immuni dal male per decreto femminista. Le donne sono esseri umani. Proprio come gli uomini. Capaci di amore, certo. Ma capaci anche di crudeltà, di sadismo, di violenza.

E i fatti, ogni giorno, ce lo ricordano.

Negli ultimi anni abbiamo visto di tutto: madri che sopprimono neonati e li gettano nei cassonetti, madri che partoriscono e poi seppelliscono i figli in giardino, madri che abbandonano neonati sugli scogli, madri che accoltellano i figli, madri che li massacrano per vendetta verso l'ex partner, in stile Medea del XXI secolo. E tutte, magicamente, diventano donne depresse. Mai assassine. Mai carnefici. Mai responsabili in senso pieno. Io questi sconti non li faccio. E la giustizia non dovrebbe farli mai. Il risultato di questa ideologia buonista e cavalleresca è tragico: due bambini macellati in pochi giorni. Il vero tabù culturale non è la violenza maschile, bensì la violenza femminile. Viviamo in un'epoca in cui si demonizza il maschio a prescindere, qualunque maschio, e si beatifica la donna per dogma. Questo pregiudizio non è femminismo, è stupidità.

E quando la stupidità entra nei tribunali, si muore. Il bambino di Trieste è morto perché nessuno ha voluto prendere sul serio le parole di un padre. Il bambino di Calimera è morto perché nessuno ha voluto prendere sul serio la pericolosità di una madre. Se fossero stati padri, li avremmo fermati prima. Perché lo stereotipo vuole così. Trattiamo le donne come esseri umani, non come santi da calendario. La soluzione? Semplice, benché rivoluzionaria: smettere di credere che la bontà sia una questione di genere.

La giustizia deve valutare i fatti, non il sesso di chi li compie. Una donna violenta non è meno violenta di un uomo violento. Una madre assassina non è meno assassina di un padre assassino.

È ora di dirlo, è ora di scriverlo, ed è ora soprattutto di farlo valere nelle decisioni che salvano o condannano vite innocenti.

Perché i

bambini non muoiono per colpa della depressione delle madri. I bambini muoiono per colpa delle decisioni sbagliate degli adulti. E qui gli adulti siamo noi. Noi come società, noi come stampa, noi come sistema giudiziario.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica