Cronaca nera

"Si è suicidata": ma Rita Atria è un'altra vittima di via D’Amelio

Chiesta la riapertura delle indagini sulla morte di Rita Atria: la 17enne era stata testimone di mafia e collaborava con Paolo Borsellino

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È stata chiesta la riapertura delle indagini sulla morte di Rita Atria, 17enne siciliana precipitata dal settimo piano di un appartamento al quartiere Tuscolano di Roma il 26 luglio 1992. La richiesta giunge dalla sorella Annamaria Atria e da Nadia Fornari, dell’associazione che porta il nome della ragazza. Secondo le indagini dell’epoca la giovane si sarebbe suicidata, ma secondo i figli del magistrato Paolo Borsellino sarebbe solo l’ultima vittima della strage di via D’Amelio.

Chi era Rita Atria

Rita Atria era infatti una testimone di giustizia, insieme alla cognata Piera Aiello. Quando era solo una ragazzina fu ucciso il padre, un piccolo boss locale e poi il fratello Nicola. Fu allora che Aiello, moglie di quest’ultimo decise di aiutare la giustizia a smascherare la mafia, cosa che fece anche Rita Atria, sulla scorta delle rivelazioni che il fratello le aveva fatto in confidenza.

Le cognate furono trasferite a Roma dopo che il 20 novembre 1991, 3 mesi dopo l’omicidio di Nicola Atria, un giovane si recò nella loro casa siciliana quasi a mezzanotte per porgere le condoglianze. A questo si deve aggiungere che la madre della 17enne, Maria Giovanna Cannova, minacciò la figlia di non parlare, proprio mentre entrambe erano in procura a Marsala.

Le due cognate furono quindi spostate a Roma per la loro sicurezza e in particolare Rita Atria viveva da un giorno solo nell’appartamento dal quale si sarebbe gettata, proprio mentre Aiello era in Sicilia per testimoniare. Paolo Borsellino, che la giovane chiamava “zio Paolo” e che era stato fondamentale per lei fino a quel momento, era stato ucciso in una strage appena una settimana prima. Rita Atria aveva presagito il suo destino e aveva annotato sul diario, riferendosi al magistrato: “Io senza di te sono morta”.

L’indagine

Le indagini sulla morte di Rita Atria sono state archiviate dopo appena 5 giorni: per gli inquirenti si è trattato di suicidio, ma sono davvero troppi i dettagli che non tornano. Per questo la sorella Annamaria Atria ha richiesto di riaprire le indagini, e lo fa solo ora perché finora ha avuto paura.

Nella documentazione sulla passata indagine non solo la giovane viene presentata come una 18enne - ma non era maggiorenne - ma si parla anche di propositi suicidi, dei quali non rimane tuttavia nessuna testimonianza, scritta oppure orale. Nell’appartamento non è stata trovata nessuna impronta digitale, neppure della 17enne, tranne un’impronta palmare sulla finestra: i carabinieri ne chiesero la comparazione con la vittima, ma la comparazione non fu mai effettuata. Nessuna impronta neppure sul pavimento, eppure quando Rita Atria fu trovata era scalza.

In casa è stato ritrovato un orologio da uomo mai repertato: Aiello afferma di sapere a chi appartenga, ma lo rivelerà solo in procura. Dietro alla sponda del letto si trovava, a matita, una scritta evanescente a forma d'arco, come una sorta di arcobaleno: “Il mio cuore senza di te non vive”. Non ve n’è traccia sui verbali e nelle foto, né tanto meno è stata disposta una perizia calligrafica.

C’è poi il giallo del quaderno e la rubrica appartenuti ad Atria e sequestrati: li aveva presi il medico legale, ma un anonimo, un sedicente funzionario di polizia ne aveva chiesta la restituzione, con un documento in cui si afferma che la rubrica contenesse utenze telefoniche di collaboratori di giustizia. Nel quaderno c’era invece il libro che la 17enne stava scrivendo per Michele Santoro, che però non ha mai ricevuto il manoscritto. Anni dopo, durante una commemorazione della giovane, una donna ha avvicinato gli organizzatori per affermare che la tapparella della finestra dalla quale sarebbe caduta Rita Atria fosse per metà abbassata.

L’appello

La sorella Annamaria Atria ha rivolto un appello durante la puntata di “Chi l’ha visto?”, chiedendo a chi abbia avuto a che fare con la giovane di farsi avanti. Potrebbe trattarsi delle persone che in quella domenica di luglio la soccorsero sul selciato a Roma, oppure di compagni di scuola nei dieci giorni frequentati al liceo classico Augusto.

C’era anche un fidanzatino: si chiamava Gabriele e i due si erano conosciuti durante una visita ai Musei Vaticani. La relazione aveva ricevuto il via libera di Borsellino: il giovane era lindo, pulito, non c’era nessun pericolo nella frequentazione.

Ma di Gabriele non ci sono state più notizie.

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