Uccise l'uomo che lo assaliva con la ruspa. Arresto confermato, ma va subito a casa

Arresto convalidato, ma Sandro Mugnai è fuori dal carcere

La casa colpita dalla ruspa
La casa colpita dalla ruspa

Arresto convalidato, ma Sandro Mugnai è fuori dal carcere. Il gip ha disposto che si aprissero le porte della prigione di San Benedetto per l'artigiano di San Polo (Arezzo) che la sera del 5 gennaio ha sparato e ucciso Gezin Dodoli, il 59enne che con un escavatore gli stava demolendo casa mentre lui si trovava seduto a tavola per cenare con i suoi familiari. Il 53enne ha chiuso la questione sparando cinque colpi di fucile contro l'operaio albanese, ma il gip ieri ha ritenuto che non ci sia pericolo di fuga per il killer, né di reiterazione del reato, né pericolo di inquinamento delle prove e non ha disposto misure cautelari a suo carico.

L'udienza di convalida si era tenuta ieri proprio nel carcere dove l'italiano era stato condotto subito dopo il delitto. I difensori dell'imputato, avvocati Marzia Lelli e Piero Melani Graverini, avevano sottolineato la legittima difesa per il loro assistito. Un tema che probabilmente porteranno in aula anche durante le prossime udienze, che vedranno il 53enne a giudizio.

L'uomo, secondo i legali, sparando avrebbe difeso la sua famiglia messa in pericolo di vita dall'imminente e possibile crollo del tetto della casa, che veniva attaccato coi colpi dati dall'escavatore manovrato da Dodoli.

Tra i due i rapporti erano tesi da tempo, per banali questioni di terreni confinanti, tubature e cattivi odori. Ma nulla lasciava presagire la tragedia che invece si è consumata la sera della vigilia della Befana.

Mugnai era a cena con la moglie, i figli, la famiglia del fratello e l'anziana madre quando ha sentito il rumore dell'escavatrice che aveva iniziato a danneggiare alcune auto parcheggiate nel cortile. Così intimorito si è affacciato alla finestra. Ha raccontato in aula di aver visto la benna del mezzo puntare contro la sua porta di casa e la parete. Ha detto al gip di aver provato a fermare a parole il vicino di casa, intimandogli di smetterla, gridando. Ma senza alcun risultato. Così, terrorizzato da quanto stava accadendo, è passato all'azione e ha sparato con la carabina da caccia, regolarmente denunciata. Cinque i colpi, di cui uno è andato a vuoto.

L'aretino dice che quello sarebbe dovuto servire da avvertimento, ma non avrebbe sorbito effetto sull'albanese, che avrebbe continuato a manovrare la gru. Così l'italiano, caposquadra in un team di caccia al cinghiale, ha freddato il rivale senza pensarci ancora.

I conoscenti raccontano che Mugnai e Dodoli un tempo si frequentavano ed erano amici. Poi l'albanese per un periodo era andato a Seveso e al ritorno con lui non c'era più uno dei figli, rimasto con la mamma in Lombardia. Il rapporto con il fabbro nel tempo era mutato. In molti riferiscono di una escalation di dissapori tra i due. Qualcuno in paese è pronto a giurare che tempo fa sarebbe partita anche una denuncia per la musica troppo alta, ma nulla di sconvolgente.

Invece

quell'astio, covato forse per mesi, è stato fatale a uno dei due. L'ipotesi di reato per cui procede la Procura al momento resta omicidio volontario, ma la difesa di Mugnai ritiene che debba essere invocata la legittima difesa.

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