Cronaca nera

Valentina Pitzalis: "Il mio ex mi ha dato fuoco, ma io non ho perso il sorriso"

In occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, la giovane donna di Carbonia, in Sardegna, scampata a un tentato femminicidio il 17 aprile 2011, si racconta a ilGiornale.it

Valentina Pitzalis: "Il mio ex mi ha dato fuoco, ma io non ho perso il sorriso"

È il 17 aprile del 2011, quando Valentina Pitzalis, barista 27enne di Carbonia, in Sardegna, viene bruciata viva dall’ex marito che muore nell’incendio. Quella sera la donna viene attirata in una trappola: Manuel Piredda, 28 anni, le chiede di portargli un documento da firmare ma ha già pronto il piano per ucciderla. I due, sposati dal 2006 al 2009, si sentono di rado, il loro rapporto non si è ancora chiuso definitivamente perché lui non si rassegna di averla persa. Una volta soli nell’appartamento, l’uomo cosparge la moglie di liquido infiammabile e le dà fuoco, mentre lui perde i sensi a causa della mancanza di ossigeno nella stanza e muore poco dopo. Sopravvissuta a questo agguato, grazie all’intervento dei vigili del fuoco, allertati dai vicini di casa, Valentina dovrà ricominciare da zero: si sottoporrà a 32 interventi di chirurgia plastica e dovrà affrontare un calvario giudiziario perché la famiglia dell’ex marito la ritiene responsabile della morte di Manuel. I Piredda presentano due esposti contro di lei, ma solo nel 2020, dopo una indagine durata tre anni, il procedimento viene archiviato. In occasione della Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, che si celebra ogni anno il 25 novembre, Valentina, simbolo di coraggio e resilienza, si racconta a ilGiornale.it

Valentina, come sta?

“Sto bene, sono molto serena. Credo che il segreto stia nel circondarsi di amore, e intorno a me ce n’è molto”.

Ha recuperato la fiducia negli uomini?

“In realtà non l’ho mai persa. Il fatto che il mio ex marito avesse dei problemi non significa che tutti gli uomini siano degli esseri spregevoli. Lui non mi ha mai amata, il suo non era amore, ma possesso, ossessione, controllo. Un sentimento malato, insano”.

Che rapporto avevate?

“Mi aveva isolata da tutti, non mi faceva uscire da sola, mi impediva di indossare minigonne e scarpe con il tacco perché mi diceva che sembravo una p****. Stava con me ventiquattro ore su ventiquattro, e cercava solo lavoretti saltuari per tutti e due, per non lasciarmi da sola. Una volta ci hanno assunto in una gelateria in Germania, ma lui era troppo possessivo e faceva delle scenate assurde, così dopo una settimana il proprietario ci ha cacciato”.

Come ha trovato la forza di dire basta?

“Quando nel corso dell’ennesima lite mi ha detto che cinque mesi prima mi aveva tradita con una prostituta. In quel momento ho capito che non potevo più fidarmi di lui, così ho chiamato mio padre per farmi venire a prendere”.

Non aveva capito che fosse violento?

“Lui non mi aveva mai messo le mani addosso, quindi mi sentivo tranquilla, anche perché fino ad allora non avevo mai sentito parlare di violenza psicologica. Anche in Tv, gli spot per sensibilizzare contro la violenza di genere ci facevano vedere una donna con un occhio nero, vittima di maltrattamenti fisici, mai con l’anima lacerata”.

Riesce a pensare a quel 17 aprile?

“Sì, anche perché ricordo tutto, non ho mai perso i sensi. In quegli attimi interminabili in cui ero ricoperta dalle fiamme e sentivo la mia pelle sciogliersi, i dolori erano talmente forti che speravo di svenire per non sentirli più. Una settimana dopo il risveglio dal coma farmacologico, alla sofferenza fisica si è aggiunta quella psicologica, l’odio e il rancore per chi mi aveva ridotta in quel modo. Quando mi sono accorta che mi avevano amputato una mano mi sembrava di impazzire. Non ho più parlato per giorni. Non potevo accettare di non averla più, anche perché io continuavo a sentirla: la chiamano la sindrome dell’arto fantasma. Sono stati giorni duri, quelli, in cui imploravo i medici di uccidermi, ma rimaneva lo scoglio più grande da superare: vedere la mia faccia. Ci sono voluti mesi prima che mi permettessero di vedere il mio volto attraverso una fotografia. Poi, pian piano, medici e psicologi mi hanno aiutata a guardarmi allo specchio. Non si può spiegare quello che ho provato in quel momento. Nella stanza asettica in cui mi trovavo, fissavo la finestra con il pensiero di lanciarmi. Non potevo neppure avere vicino i miei genitori, che potevano guardarmi solo dalla porta”.

Oggi c’è qualcosa che le manca?

“Non chiedo molto, sono serena, circondata dagli amici, dalla mia famiglia, ma vorrei avere più autonomia, non sono pienamente autosufficiente. Non riesco a fare molte delle cose che facevo un tempo, come allacciarmi le scarpe, aprire una bottiglia d’acqua o una semplice passeggiata da sola. Ho sempre bisogno che qualcuno mi aiuti, e in questo sono molto fortunata perché mia madre non mi abbandona mai, gira l’Italia con me. Da due anni ho un arto bionico, in titanio e carbonio, che per me è stata la svolta: posso mangiare in autonomia, asciugarmi i capelli, tenere il telecomando, ma in tante altre cose sono limitata. Chissà, forse un giorno ne inventeranno un altro più efficiente e magari impermeabile, così da poter fare una doccia senza l’aiuto di nessuno”.

Chi è adesso Valentina?

“Una donna molto più forte e risolta di quella ragazza del 2011. Una donna che ha saputo rialzarsi, riprendendo a fatica a muovere i primi passi. Finalmente, posso dire di essere molto innamorata di me stessa. Non ho più la faccia di prima ma ho un sorriso più libero. Oggi porto la mia testimonianza nelle scuole di tutta Italia con l’associazione FARE X BENE, che mi ha sostenuta da subito nell’aiutare i giovani a percepire i segnali di un rapporto malato, nell'insegnare a dire no quando si è ancora in tempo. Spiego loro quali sono i campanelli di allarme e come riconoscerli. I ragazzi non devono sentirsi in colpa o sbagliati, ma farsi aiutare, sia che siano vittime, carnefici o testimoni di questi atti. Solo così si evita di inciampare in relazioni sbagliate”.

Oggi è il 25 novembre, come trascorrerà questa giornata simbolica?

“Sono a Palermo, ai Cantieri Culturali alla Zisa, per partecipare a un evento unico e innovativo, dal titolo Dal Mito al Metaverso, organizzato dal noto videogioco The Sandbox. All'interno dell'esperienza, il mio avatar guida gli utenti in una prova di gaming nel Metaverso.

Mentre si gioca, si possono ricevere informazioni sul tema della prevenzione di ogni forma di violenza di genere, a partire dai miti e Dei della mitologia greca, per comprendere quanto la violenza sia uguale a se stessa fin dall’antichità”.

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