Cronache di una sconfitta annunciata

Episodi, nomi, dati, circostanze, raccontati in modo asciutto e preciso. La storia di un anno studiato giorno per giorno, morto per morto, come un annale e non come un’epopea. A scriverla, due che a quell’epoca giocavano sì con le pistole, ma quelle ad acqua, non le P38, perché avevano 5 e 3 anni: Concetto Vecchio con Ali di piombo (Bur, pagg. 281, euro 9,40), e Stefano Cappellini con Rose e pistole (Sperling & Kupfer, pagg. 339, euro 14).
«Cielo plumbeo, sprazzi di pioggia, freddo intenso»: è l’unica nota di colore che si concede Vecchio quando racconta lo storico comizio di Lama alla «Sapienza» di Roma, il momento in cui qualcosa si ruppe definitivamente a sinistra, e il Pci, partito dell’ordine, diventerà per il movimento, per Lotta continua e Autonomia operaia, per professionisti della rivolta e dilettanti della rivoluzione, futuri terroristi ed eterni fiancheggiatori, un altro nemico da combattere. Per Vecchio il 1977 è solo «un anno pazzo» da studiare e raccontare per spiegare perché «il movimento del ’77 (...) terminò subito la sua corsa, tramandando alla storia soprattutto un’immagine di lutti e di violenze. Fu anche altro, certo, ma alla fine l’ala creativa, la sua parte migliore, finì per subire una dura sconfitta».


Cappellini il 1977 lo racconta, come in un romanzo sentimentale, impreziosito dalle foto di Tano D’Amico, in Rose e pistole, e se le pistole sono le violenze e le sparatorie, i morti di destra, quelli di sinistra e quelli di nessuno, cioè i poliziotti e i carabinieri, le rose sono tutto ciò che di nuovo quell’anno ha lasciato, la rivolta contro il passato e le sperimentazioni culturali; musica, quadri, fumetti e romanzi; il rifiuto della vecchia sinistra comunista e una sinistra più libertaria; le radio libere che apriranno la strada alla tv commerciale e la fine del mito del posto fisso che produrrà angoscia ma anche una nuova mobilità sociale ed economica; non un affare di famiglia, ma cronaca e storia.

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