Politica

Quel 10% (impalpabile) dei centristi

Matteo Renzi lo considera uno degli approdi dell'evoluzione del panorama politico terremotato dal governo Draghi

Quel 10% (impalpabile) dei centristi

Matteo Renzi lo considera uno degli approdi dell'evoluzione del panorama politico terremotato dal governo Draghi. «Visto che Enrico Letta ha detto di voler parlare con tutti spiega noi sabato gli chiederemo se vuole stare con noi o con i grillini. Il centro? È un percorso lungo e fino alle prossime amministrative di ottobre ci sarà una fase di studio. Ora dobbiamo pensare solo ai vaccini». Carlo Calenda, che pure lo desidera, non sa ancora che traiettoria assumerà il volo della fenice centrista. «So solo che l'idea dell'ulivone cara a Letta osserva , della coalizione che va dai comunisti a Calenda, in cui le differenze si cancellano nel nome della morale di una guerra tra buoni e cattivi non mi interessa. Poi certo constato che Berlusconi resta nel centro-destra e che Renzi non ha costanza, ricerca i colpi di scena ma esclusivamente per i fatti suoi. Ammetto che ci ha regalato Draghi, ma prima ci aveva fatto anche gentile omaggio di Conte».

Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, invece, entrambi dimissionari, sono alle prese con le guerre incomprensibili ai comuni mortali dentro Più Europa. «Non c'è nulla di politico dice scoraggiato il sottosegretario agli Esteri anzi dal nostro punto di vista dovremmo essere contenti: siamo passati dal Conte uno, al due, all'ipotesi del tre per arrivare a Draghi. Un bel passo avanti nella prospettiva europea. Poi patiamo le sofferenze, mi sono sfogato insieme a Zingaretti, dei partiti democratici alle prese con le chat. Comunque, la prospettiva di una federazione centrista, abbiamo coinvolto anche Cottarelli, è ineludibile».

Eppoi, ancora, sul punto più estremo dell'area centrista verso destra, cioè Forza Italia, c'è chi sospira sull'ipotesi centrista, specie in Sicilia, perché ci aspira. «Dovremmo mettere insieme spiega l'azzurra Giusi Bartolozzi tutto quello che c'è tra Renzi e noi. Se lo facessimo daremmo le carte a tutti, tanto più ora che il Pd ha fatto un ritorno al passato. Ma ci vorrebbe un visionario, com'era un tempo Berlusconi».

Propositi, desideri, dialoghi, manovre e aspirazioni personali: è l'insostenibile leggerezza dell'essere, per tirare in ballo Milan Kundera, centrista. I protagonisti dell'area moderata rischiano, se non si danno una mossa, di fare la triste fine dei personaggi del «Quartetto di Kundera». Eppure di spazio ce ne sarebbe, eccome. Specie ora, dopo la piega che ha preso il Pd del nuovo corso di Enrico Letta. Con tutto il rispetto e la stima per il personaggio, infatti, che ha avuto l'ardire di prendersi questa brutta gatta da pelare, immaginare un nuovo Ulivo venti anni dopo non appare una grande operazione. Intanto perché il Pd non è più quello di una volta: nei sondaggi Ghisleri docet, ma non solo - è al quarto posto, dopo i partiti di Salvini, Grillo e Meloni. Eppoi quel modello, pieno di contraddizioni (non c'è mai stato un premier dell'Ulivo che sia durato più di due anni), si basava su partiti che avevano radici nella storia e una certa professionalità in politica: usare tra gli ingredienti del nuovo Ulivo il magma grillino, sarebbe come utilizzare come carburante per un'automobile la nitroglicerina.

Ma il Pd ormai è fatto così, chi lo capisce è bravo. Per cui nell'«operazione nostalgia» non manca nessuna delle «amarcord» del passato: dal Mattarellum come legge elettorale, alla richiesta dello ius soli tirata fuori con tempestività encomiabile il sarcasmo è d'obbligo - nel bel mezzo della terza ondata, allo scontro con il nuovo nemico Salvini che è molto meno epico rispetto alla guerra senza quartiere contro il Cavaliere nero. Manca solo la candidatura, l'ennesima, di Romano Prodi al Quirinale, ma, date tempo al tempo, arriverà anche quella.

Ora in questa situazione, con una geografia politica ed elettorale, ancora più frastagliata di un mese fa, la galassia centrista, se si mettesse insieme, o meglio si federasse, potrebbe raggiungere, secondo gli ultimi sondaggi, un 9-10%; se si aggiungesse anche Forza Italia, o parte di essa, nascerebbe un agglomerato che diventerebbe il secondo soggetto politico del paese dopo la Lega. Ma in entrambe le versioni avrebbe una capacità contrattuale (enfatizzata con una legge elettorale proporzionale, ma decisiva anche con un sistema maggioritario) non indifferente: perché a volte i voti, come le azioni di Cuccia, si pesano non si contano. E l'alleanza con una federazione di questo tipo sarebbe essenziale per Letta per essere competitivo; e per Salvini e soci per avere la sicurezza di vincere.

Un potere quello centrista, che, se ben usato, in termini di alleanze potrebbe essere utilizzato anche in una logica virtuosa: da una parte per favorire un'evoluzione meno massimalista della sinistra o meno populista dei grillini; dall'altra per ripulire il centro-destra delle scorie anti-europeiste o sovraniste. Né vale la vecchia pregiudiziale, posta sempre come un macigno sulla strada dell'unione, su chi sarà il leader: per le ali estreme, probabilmente, un leader riconosciuto è necessario; ma per chi è nel mezzo e trae la sua forza nella possibilità di dialogare a destra come a sinistra, avere una leadership plurale, da usare a seconda del momento e dello scenario politico, può addirittura rivelarsi una risorsa. Anche perché governare uno o due anni tutti insieme per uscire dalla tragedia del Covid, demolirà tante frontiere ideologiche o pseudo-tali. «Per alcuni versi ammette Calenda ora ti comprendi più con i leghisti come Giorgetti che non con Di Maio e Franceschini, con la loro retorica. Solo che Salvini dovrebbe essere costante, non è che all'improvviso può tornare indietro, cambiare linea per puro calcolo elettorale».

Insomma, il centrista può guardare da una parte come dall'altra, accettato da una parte come dall'altra, per cui l'occasione è quantomai ghiotta. Solo che il «quartetto di Kundera» dovrebbe mettere da parte personalismi, individuare una base programmatica comune, instaurare un minimo di solidarietà, altrimenti l'occasione andrà sprecata. «Noi confida Enrico Costa, da qualche mese con Calenda ormai abbiamo scelto il perimetro dell'area liberale. Ma per mettere in piedi una federazione centrista dobbiamo trovare una convergenza sui temi, a cominciare dalla giustizia. Sfruttando il fatto che gli altri ci stanno lasciando spazio: come fa Letta a metterci sullo stesso piano dei grillini sulla giustizia? Come pure Forza Italia, io vengo da lì, parla parla, ma poi». «Io so solo rimarca il renziano Catiello Vitiello che se non ci mettiamo tutti insieme, dove andiamo? Il Pd, non voglio essere facile profeta, sta tornando indietro».

Tutto giusto, solo che il centro se vuole contare, se non vuole essere colonizzato deve darsi una struttura per mettersi insieme. Per usare il vecchio adagio, l'unione fa la forza perché, anche sul piano elettorale, più sei grande più aumenti la tua capacità di attrazione, ampli il tuo campo gravitazionale. Scrive Matteo Renzi sulla sua e-news. «In questo vuoto di politica, chi ha idee conta sempre... classica situazione win-win».

Tutto giusto, ma, appunto, devi far politica.

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