Sgomberi dei campi rom: Bruxelles li vuole vietare

Il Consiglio d’Europa chiede siano trasferiti nelle abitazioni. Ma ignorano la realtà italiana

Sgomberi dei campi rom: Bruxelles li vuole vietare

La notizia sarebbe che non si possono più sgomberare i campi Rom, in Italia: non senza prima assicurare, come alternativa, degli alloggi adeguati e "non segregati e non discriminatori". Tutto molto bello: l'ha sentenziato, qualche giorno fa, l'European Committee for Social Rights (Ceds) che è un organo del Consiglio d'Europa che dista anni luce dalla realtà che vorrebbe disciplinare, come sempre: a Bruxelles, in realtà, non sanno nulla dei nostri "campi rom", e ignorano del tutto che nelle cosiddette baraccopoli, o "roulotte degli zingari", vive solo il 2 o 3 per cento dei cosiddetti rom itineranti; il resto, circa il 97 per cento, vive stanziale nei campi e lo fa da generazioni, più per scelta che per necessità. Chi dice queste cose? Le dice anzitutto un rapporto del Senato che resta insuperato sin dal 2011, senza che da allora le cose siano cambiate: i "rom" sono tra 140.000 e 180.000 (cifre confermate da Opera Nomadi e Comunità di Sant'Egidio) e il 60 per cento è minorenne, e solo il 23 per cento ha più di 60 anni, ma soprattutto 40.000 circa vive in "campi" non legati a nomadismo vero e proprio (ci stanno perché vogliono starci) mentre mancano informazioni su reddito, istruzione, sanità e lavoro. Mancano anche numeri affidabili sull'inclusione scolastica, perché è gente che non li fornisce.

E allora da capo: chi è, questa gente? Risposta: è anzitutto una categoria etnica usata come brand assistenziale ma che di fatto è disconnessa dalla "cultura" che si pretende di tutelare, ma che a loro, per primi, ai presunti nomadi, non interessa cambiare. Non-interessa. Tutti a parole parlano di superamento dei campi nomadi, ma, a margine, non esiste alcuna prospettiva di inclusione: soprattutto da parte di chi non ne ha interesse. Gli sgomberi si succedono come teatrini periodici e istituzionali senza nessuna alternativa credibile: la maggior parte delle volte le famiglie tornano a stabilirsi in baraccopoli ancora più isolate e naturalmente con prole al seguito. Come campano lo sappiano tutti, a destra come a sinistra: intanto i campi che dovevano essere transitori diventano ereditari e ogni progetto di superamento diventa una fonte di reddito per cooperative, ong e associazioni che campano sul disagio e che trovano più utile amministrare il degrado piuttosto che cercare di eliminarlo. Nessuno controlla davvero chi siano i beneficiari delle misure "per i rom": non esiste un'anagrafe etnica (per fortuna) ma esiste un'autodichiarazione interessata: chiunque viva in un campo e abbia un cognome albanese o serbo, per dire, può rientrare nelle maglie delle politiche "per l'inclusione". Chi cerca casa è avvertito. Intanto, fermandoci solo ai dati su Roma (Associazione 21 luglio), il 70 per cento dei bambini nei campi autorizzati non frequenta la scuola, mentre nei campi abusivi l'abbandono scolastico sfiora il 100 per cento: ed è una scelta, nessuno lo impone. I bambini non vengono neppure iscritti all'anagrafe scolastica: i genitori li mandano a chiedere l'elemosina o in giro a borseggiare e li sfruttano come risorsa redditizia ben sapendo che un minore di 14 anni non è punibile. I cosiddetti nomadi vengono protetti in quanto tali (indovinate da quali forze politiche) anche quando rifiutano ogni forma di integrazione. Si sentono ancora, nei comunicati di alcune Ong, frasi tipo "l'obbligo di sgombero spezzerebbe la continuità scolastica dei minori": ma di quale continuità si parla? I figli non li mandano a scuola proprio. Non li vaccinano. Non hanno assistenza sanitaria. Vivono in container con i topi, nei fumi tossici di bracieri improvvisati, in baracche senza servizi igienici. Lo ha certificato anche l'Unicef che i nostri minori rom sono i più esclusi d'Europa: ma non per colpa di una società discriminatoria (che beninteso, c'è) ma per effetto di pratiche familiari che tramandano l'isolamento come forma di controllo e il disprezzo della legalità come bagaglio identitario: altro che il folklore e la cultura.

E ora ti arrivano i maestrini di Bruxelles a spiegare allo Stato italiano come comportarsi: case subito per tutti, e senza discriminazioni. Molto bello. Vai a spiegargli che moltissimi cosiddetti rom rifiutano gli alloggi offerti dai Comuni, e non perché inadatti, ma perché impongono delle regole: contratto, affitto, presenza stabile, obbligo scolastico, una forma di controllo. Non è che puoi parcheggiare una roulotte in cortile e farci vivere tre famiglie. E non è neanche vero che tutte le famiglie rom vogliano per forza restare in un campo: ma è vero che, in certi campi, si vive fuori dalle regole, e ciò rappresenta, per chi ci è cresciuto, un vantaggio economico, relazionale e identitario. Con un'infinità di bambini (dettaglio) rovinati a vita.

Gli unici che mostrano del coraggio, in rari casi, sono i magistrati dei Tribunali dei minori quando tolgono la patria potestà a chi impone ai figli una vita di illegalità. Il resto è pavidità. Burocrazia. Compresa quella di Bruxelles.

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