In lockdown un anno dopo. Tutta la verità sui numeri

Tre milioni di contagiati e sette milioni di vaccinati non bastano: zona rossa e semi lockdown nazionale un anno dopo l'inizio dell'incubo Covid. Quali sono le motivazioni? Lo abbiamo chiesto a due esperti infettivologi

In lockdown un anno dopo. Tutta la verità sui numeri

Marzo 2020: inizia l'incubo chiamato Covid-19 con il primo lockdown nazionale il 9 marzo e con l'Organizzazione Mondiale della Sanità che il giorno successivo avrebbe dichiarato lo stato di pandemia mondiale.

Cosa è cambiato?

Oggi, marzo 2021, è già trascorso un anno ma apparentemente sembra che sia cambiato poco: mezza Italia si trova in zona rossa (praticamente lockdown), l'altra mezza è in zona arancione, sono vietati gli spostamenti da un Comune all'altro oltre a tutta una serie infinita di chiusure e restrizioni. L'eccezione che conferma la regola è la Sardegna ma, in un contesto pandemico come questo, purtroppo non fa testo. Le differenze, però, con 365 giorni fa sono tecnicamente enormi: allo stato attuale, i casi certificati di Coronavirus in Italia sono oltre tre milioni e 200mila ed il report giornaliero della gente vaccinata dice che siamo arrivati a quota 7 milioni 330mila almeno con la prima dose (numeri in aggiornamento costante). Quindi, a voler tirare le somme come a scuola, le persone con anticorpi naturali e indotti dal vaccino sarebbero almeno 10 milioni. Eppure, nonostante questi numeri, sembra non essere cambiato granché: oltre 20mila casi al giorno, centinaia di decessi quotidiani, aumento di ricoveri nei reparti ordinari ed in terapia intensiva. I conti sembrano non tornare.

"È colpa delle varianti"

Perché un anno dopo il primo vero lockdown siamo ancora quasi al punto iniziale nonostante gli oltre 3 milioni di persone già infettate e gli oltre 7 milioni di vaccinati con la prima dose, da cosa dipende? "Dipende dal fatto che c'è un elemento nuovo, la variante inglese del virus che è maggiormente trasmissibile. Dopo il picco di casi in novembre, abbiamo avuto una stabilità ad alti numeri che è durata quasi due mesi: dopodichè, è come se la società avesse trovato un suo equilibrio purtoppo ad alti numeri e non bassi come l'estate scorsa. Ciò ha comportato il fatto che, una volta entrata una variante più trasmissibile, ha rotto l'equilibrio ed ha riportato la curva in salita. Da qui la necessità di ricorrere di nuovo a forme di restrizioni che ci fanno soffrire", ha affermato in esclusiva per ilgiornale.it il Prof. Giovanni Di Perri, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive Cliniche e della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive di Torino.

Questi numeri non bastano

Nonostante le vaccinazioni ed un numero superiore ai tre milioni di soggetti immunizzati con l'infezione naturale, siamo ancora lontani dal raggiungimento della famosa immunità di gregge. "Avremo un 15% di protezione in atto nel nostro Paese, bisogna crescere come percentuale di copertura e crescere nelle fasce anagrafiche che rischiano più di altre di sviluppare malattie e occupare gli ospedali", afferma Di Perri, che auspica un programma che dia "priorità alla protezione di chi più di altri rischia di ammalarsi, i soggetti sopra i 60 anni. Se le forniture di vaccino arriveranno regolarmente e copriremo in maniera efficace e tempestiva questa fascia d'età, tutto ciò che faremo dopo potrà portare ad un clima completamente diverso togliendo quell'affanno che ci ha caratterizzato fino adesso".

In pratica, la situazione è come quella dell'anno scorso a quest'ora? "La considerazione dalla quale dobbiamo partire è che per cercare di ridurre la circolazione virale, sommando il numero tra soggetti infettati e soggetti vaccinati, non si raggiunge quella percentuale di soggetti immuni necessaria a ridurre la circolazione del virus. Quella che chiamiamo immunità di gregge, che si raggiunge attraverso la vaccinazione ma che può essere raggiunta anche attraverso la circolazione del virus nei soggetti infetti, deve toccare una percentuale della popolazione che sia intorno al 70%: la forchetta è tra il 60 ed il 72% per ridurre effettivamente la circolazione del virus", afferma al giornale.it il Prof. Massimo Andreoni, ordinario di Malattie infettive e Direttore dell’Unità operativa complessa di Malattie infettive di Roma Tor Vergata. "Siamo ancora lontani da quella percentuale necessaria, il virus continua a circolare probabilmente con qualche minima difficoltà in più ma ha ancora ampio spazio di circolazione perché trova con facilità persone ancora non immuni da infettare", aggiunge l'infettivologo romano.

Marzo 2020 - Marzo 2021 a confronto

La differenza con marzo 2020, al di là dell'attuale lockdown, va vista sotto altri numeri: secondo quanto affermato da Andreoni, dovremo arrivare a 45 milioni di persone immunizzate ma "siamo ancora lontani da quella strada: dobbiamo vaccinare il maggior numero possibile di persone. I maggiori benefici con la vaccinazione sono gli accessi in ospedale: man mano che vacciniamo i più fragili, cioè quelli con più probabilità di finire in ospedale, dovremmo vedere un allentamento degli accessi. Ancora non è così ma siamo su questa strada". Sulla stessa lunghezza d'onda anche il Prof. Di Perri, per il quale rispetto ad un anno la situazione è migliore "in prospettiva: abbiamo la vaccinazione in corso che sta producendo, all'interno delle popolazioni in cui è stata effettuata, cali vistosi".
Rsa e sanitari. L'esperto ci ha parlato dei malati delle Rsa: "dopo la prima ondata in cui il 42% dei decessi venivano da lì, adesso sono inferiori al 3% dei casi giornalieri: significa che la situazione, in quell'ambito, tra vaccinazioni e precauzioni è tenuta sotto controllo. Questo è un bel dato che dà il segnale che la strada è quella buona". Va meglio anche tra gli operatori sanitari, tra i quali l'incidenza del virus "è crollata in quella che è una categoria piuttosto esposta. Adesso speriamo di mettere in sicurezza chi ha più di 60 anni, magari entro la fine di giugno. A quel punto gli ospedali si svuotano, la Sanità inizia a riprendere tutte le sue voci assistenziali, non ci sarà più l'affanno di ricorrere ad un lockdown per salvare gli ospedali ma continueremo a vaccinare. L'incubo si ridimensionerà", afferma Di Perri.

Sarà l'ultima zona rossa?

Il semi-lockdown attuale ha una prospettiva nettamente diversa grazie ai vaccini ma occhio a sottovalutare le varianti. "Quella inglese risente degli effetti dell'immunizzazione: vuol dire che se anche dovesse reinfettare, la persona sarebbe asintomatica o con pochissimi sintomi. L'immunità non avrebbe evitato che la persona si contagiasse ma evita che si ammali, è già un risultato eccellente in termini di salute pubblica", continua Di Perri. I dati delle varianti sono ancora incerti e da confermare ma l'esperto assicura che almeno tre vaccini sembrano efficaci contro le tre varianti: "mi riferisco a Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson, in prospettiva è una buona notizia e va confermata".

"Circola più virus di prima". Le zone rosse ed arancioni potrebbero essere le ultime? "Dipende molto da noi perché il virus che circola è più contagioso del precedente, ciò significa che quello che abbiamo fatto, se non è stato sufficiente prima non lo è adesso con questa variante. È, forse, il momento più difficile perché riusciamo a vedere una luce in fondo al tunnel ma per raggiungerla c'è un percorso complicato, il virus che sta circolando è più trasmissibile. Dobbiamo incrementare le nostre precauzioni, al di la dei provvedimenti dipende da noi stessi". Il problema non è di poco conto neppure per il Prof. Andreoni, secondo il quale "abbiamo aspettato troppo per creare questo lockdown ed abbiamo una quantità di virus in circolazione troppo grande per vedere effetti rapidi sulle misure di restrizione in atto, avremmo dovuto applicarle prima per ridurre la circolazione del virus adesso un po' fuori controllo".

Cosa succederà d'estate

L'altro elemento che potrebbe variare la situazione è la circolazione delle varianti "a grande trasmissibilità, la variazione del virus nel bene e nel male può modificare l'andamento dell'epidemia", sottolinea Andreoni, preoccupato dall'eventuale resistenza ai vaccini da parte delle varianti. "Rimane il concetto che meno virus circola, meno è probabile che vada incontro a nuove varianti; più circola e più si replica con la possibilità di portare allo sviluppo di nuove varianti". In questo senso, però, vediamo una doppia luce all'orizzonte: oltre alle vaccinazioni, non manca moltissimo a primavera ed estate, quando tutti staremo all'aria aperta ed il caldo sarà un nostro alleato. "Ci sono prove scientifiche che dimostrano come i raggi ultravioletti abbiano una fortissima capacità di inattivare il virus e la bella stagione porta le persone a stare maggiormente all'aria aperta, tutti fattori che sfavoriscono il virus e rendono meno probabile la trasmissione dell'infezione - conclude l'infettivologo - Dovremmo approfittare del periodo estivo per chiudere con la vaccinazione e fare in modo che in autunno ci siano già state vaccinazioni sufficienti a rendere difficile la vita del virus".

Non siamo come un anno fa

"Non paragoniamo la situazione di adesso a quella di un anno fa: non sono paragonabili. Il numero delle terapie intensive era molto più alto, ora i pazienti guariscono più facilmente, siamo in grado di guarire più ammalati". Lo ha affermato Giuseppe Remuzzi, nefrologo, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, ospite di 'Agorà'.

Remuzzi ha sottolineato che "se riuscissimo a vaccinare rapidamente 20 milioni di italiani avremmo una riduzione importate della pressione sugli ospedali. Per l'immunità di gregge non c'è bisogno di arrivare al 60% secondo me, perché alcuni hanno una immunità preesistente".

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