Periferie d'Italia

A Ballarò, dove si canta l'arte di un commercio antico

Dall'antico souk arabo al mercato odierno: a Ballarò le grida dei venditori diventano un coro che invita a scoprire bancarelle di pesce, frutta, spezie e cibi pronti

A Ballarò, dove si canta l'arte di un commercio antico

Una strana musica riecheggia nell'aria, suoni antichi quasi mistici. Forse un inno a qualche dio. Ha un sapore mediterraneo o medio orientale, difficile sapere che divinità la musica stia invocando. Ascoltando meglio i suoni indefiniti diventano voci, forse di un coro arabo. Piano piano la litania si svela essere in siciliano o meglio in palermitano. Il dio che la gente sta invocando è quello antico del bazar, il mercato.

A Ballarò si canta l'arte di un commercio antico, quello dei generi alimentari: spezie, frutta e verdura, formaggi, pane, pesce e cibi pronti (guarda le foto). Il canto non è altro che l'insieme delle grida che i vari venditori fanno per elogiare la loro merce. Queste urla sono dette in dialetto “abbanniate”.

L'antico souk arabo

Ci sono varie versioni sull'origine del nome Ballarò, per alcuni studiosi viene dal nome Bahlara, villaggio presso Monreale dove risiedevano i mercanti arabi o da Vallaraya nome di un re indiano. Per altri ancora era chiamato dagli arabi Souk el Ballarak, che voleva dire mercato degli specchi. Una cosa è certa, qui si sono conservate moltissime tradizioni che traggono origini dagli anni del Califfato Islamico di Sicilia. Un'epoca, insieme a quella successiva normanna, in cui arabi islamici, ebrei e siciliani cristiani hanno vissuto spalla a spalla per alcuni secoli e che è considerata, insieme all'epoca delle colonie greche e il periodo romano, come l'epoca di maggiore splendore dell'isola.

Il mondo islamico ha lasciato tracce in tutto, nei suoni, nella lingua, nella cucina, nell'architettura, perfino nel vino. Basti pensare allo zibibbo, sia il nome del vitigno che il vino, infatti derivano dalla parola araba zabīb che vuol dire uvetta o uva passa.

L'uva zibibbo, originaria dell'Egitto fu portata a Pantelleria dall'Egitto in epoca fenicia. Durante il Califfato arabo furono creati invece i caratteristici terrazzamenti dell'isola in cui viene coltivato il vitigno. Si potrebbe discutere per ore delle etimologie siciliane di origini arabe, basta citare il “Rais” il capo delle tonnare.

Sicuramente però serve solo una visita al mercato di Ballarò per comprendere questo fortissimo legame che è sopravvissuto ai secoli. Girare per questo mercato è come una passeggiata in un parco geologico pieno di fossili di un mondo perduto. Gli islamici e gli ebrei palermitani sono stati cacciati alla fine del 1400 ma la loro cultura è ancora qui, fusa nella quotidianità delle persone di oggi, basta avere occhi attenti.

I volti di oggi

Nella zona di Ballarò oggi vi è anche una moderna comunità africana, sia cristiana che islamica, che una indo-pakistana e araba. Basta camminare un po' per trovare tanti sarti africani che creano vestiti coloratissimi con i tessuti della loro terra. Uno dei più bravi fa parte dell'”Associazione Liberi Artigiani Artisti Balarm” nata per unire gli artigiani italiani e non, che hanno deciso di aprire attività artigianali e artistiche nel centro storico di Palermo per riportarlo agli antichi splendori.

Sempre nel quartiere è nato Moltivolti un progetto di coworking e ristorazione che vuole fondere la cultura europea con i paesi del Mediterraneo unendo competenze professionali diverse. Il progetto è nato dalla volontà di sei ragazzi di varie nazionalità, provenienti dal mondo dell’associazionismo. Qui si viene per degustare diverse cucine del mediterraneo, per lavorare, per parlare e pensare al futuro di questo mare e dei sui popoli.

L'Albergheria

Il mercato di Ballarò sta all'interno del quartiere dell'Albergheria, la stessa zona in cui si trova Palazzo dei Normannni con la sua incredibile Cappella Palatina. Questo quartiere come il resto della città è stato raccontato benissimo da Philippe Daverio in una puntata di Passepartout intitolata: “Palermo o l'Europa di una volta”.

Le case aristocratiche e la rinascita del centro

In questo rione, in parte ancora fatiscente, si trovano moltissimi palazzi nobiliari di una bellezza e decadenza unica, oltre che splendide e ancora più fatiscenti antiche case popolari.

Nell'ultimo decennio si è visto un certo ritorno della borghesia e sopratutto del turismo in quest'area. Molti investitori hanno capito che era un affare d'oro acquistare per pochissimo in quest'area appartamenti se non palazzi. Oramai da un decennio stanno fiorendo in queste zone molte case vacanze e bed and breakfast, cosi come stanno tornando i borghesi palermitani che negli anni Sessanta avevano comprato in zone moderne come Notarbartolo. Ma sono soprattutto gli studenti che ci sono andati a vivere, anche grazie al fatto che qui i prezzi sono più bassi e le atmosfere molto più affascinanti che nelle brutte, ma ricche zone anni Sessanta. Quello che rende unica questa zona di Palermo è poi il popolo che ancora la abita. Questo rione fino a non molto tempo fa era considerato malfamato e la cultura popolare veniva vista come folcloristica. Oggi è tutto l'opposto, i grandi stilisti, come per esempio Dolce e Gabbana, è dalle le tradizioni del popolo che traggono ispirazione per i loro vestiti che venderanno a New York, Tokio o Pechino. Non certo negli anonimi e bruttini quartieri in cui si era rinchiusa la borghesia palermitana degli anni Sessanta e Settanta.

Siamo di fronte a una vera rivincita di queste antiche tradizioni popolari, che certo non vanno cristallizzate per far felici i turisti, ma vanno semplicemente vissute e rese contemporanee. Palermo questo lo sa fare benissimo

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