Cronache

Il bar chiede il conto a Conte: "3580 euro per lavorare e devo chiudere? Ora me li rendi"

Continuano le proteste dei lavoratori della ristorazione, come Andrea Scali, barista di Livorno, che ha deciso di chiedere il conto a Giuseppe Conte: ora chiude dopo aver investito per rispettare le norme anti contagio

Il bar chiede il conto a Conte: "3580 euro per lavorare e devo chiudere? Ora me li rendi"

La protesta del personale della ristorazione, dello spettacolo, e di tutti quei settori che stanno pagano il prezzo più alto per le chiusure del Dpcm non accenna a fermarsi. La paura è sempre una: fallire. E quando questo spettro si avvicina per colpe non proprie, la rabbia di chi vede andare in fumo anni di lavoro, e investimenti, cresce. A maggio gli imprenditori di ogni settore sono stati chiamati a una maggiore responsabilità e invitati ad adeguare i locali alle disposizioni per garantire la sicurezza di avventori e clienti. Plexiglas, sanificazioni, disinfettanti e tutto quanto potesse renderli agibili in un momento di massima emergenza. Loro si sono adeguati, hanno speso e hanno provato a creare una nuova normalità ma il Dpcm del governo ha stroncato le gambe, ad alcuni per sempre. Per questo motivo un barista di Livorno ha deciso di protestare e di chiedere il conto a Giuseppe Conte per quanto speso pochi mesi fa per adeguarsi, ora che è costretto a chiudere le sue serrande alle 18.

A raccontare la storia di Andrea Scali, che è quella di tantissimi suoi colleghi, è Repubblica, che ha raccolto la sua testimonianza e la particolare forma di protesta nei confronti del governo. "È una mazzata per un locale come il nostro che in questi anni si è specializzato in aperitivi e cocktail: una fascia di consumazione che rappresenta la gran parte del nostro fatturato, circa il 75%. Noi ci siamo attrezzati. Bar e ristoranti rispettano le regole. Qui il virus non si prende". Scali, 58 anni e titolaredi uno dei bar più noti di Livorno, dopo l'annuncio del presidente del Consiglio ha deciso di prendere in mano penna e calcolatrice per fare due conti, mettendo in colonna le spese sostenute per l'adeguamento del suo locale al Dpcm ed è stato molto preciso. 250euro per la sanificazione dei locali, 1.180euro per la macchina all'ozono. 950euro per i divisori in plexiglas, 900euro per i dispositivi HCCP, 300euro al mese aggiuntivi per le sanificazioni. Per un totale di 3.580euro. "E ora devo chiudere? Allora me li rendi", conclude nel suo foglio Andrea Scali, un conto che è stato affisso alla vetrina del suo locale.

Gli effetti del Dpcm nel suo bar, e in tutti quelli che si trovano costretti a chiudere alle 18 sono stati subito evidenti: "In questi due giorni con la chiusura serale gli incassi sono crollati. Dopo il lockdown avevamo perso circa il 60% del fatturato. Questa estate eravamo riusciti a recuperare la metà. Ma adesso siamo di nuovo al punto di partenza". Quattro dipendenti verranno messi in cassa integrazione, tranne uno "assunto a inizio ottobre, per cui non c'è la possibilità di usufruire di questa misura. E con il blocco dei licenziamenti io non so come fare per dargli un paracadute". Andrea Scali non vuole licenziare nessuno ma non sa come fare per far quadrare i conti. Per altro, quella lista scritta di getto dopo l'annuncio del Dpcm non è nemmeno completa: "Sono rimaste fuori tantissime altre voci. Avrò investito almeno 7mila euro per adeguare la mia attività, che ora lavora sulla metà dei coperti. Con il ristoro previsto io non rientrerò nemmeno di questi investimenti.

Che allora ci chiudiano tutti, che sia lockdown per tutti in modo da fermare prima e meglio il contagio".

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