Cronache

La barbarie del video hot in circuito

Non c'è pietà, non c'è pudore. La rete scambia, guarda, ride e se ne frega del dolore. Non rispetta nulla. Quattro ragazzi sono accusati di aver violentato una ragazza, uno di loro come si sa è il figlio di Beppe Grillo

La barbarie del video hot in circuito

Non c'è pietà, non c'è pudore. La rete scambia, guarda, ride e se ne frega del dolore. Non rispetta nulla. Quattro ragazzi sono accusati di aver violentato una ragazza, uno di loro come si sa è il figlio di Beppe Grillo. C'è un'indagine, ci sarà un processo e tra le prove ci sono i filmati di quello che è accaduto in una notte d'estate. Scene, corpi, volti. Sono forse le stesse immagini che l'attore genovese cita per scagionare il figlio. Non è il solo ad averle viste. La giustizia finisce sempre in piazza. I genitori della ragazza sono costretti a denunciare il «traffico delle prove». «Abbiamo appreso che frammenti di video intimi vengono condivisi tra amici, come se il corpo di nostra figlia fosse un trofeo. Qualcosa che ci riporta a un passato barbaro che speravamo sepolto». La rete non la fermi. È come cercare di fermare un'onda. Il garante della privacy ricorda che tutto questo è reato. Certo che lo è, ma la ragazza ora può solo aspettare che tutto questo passi. «Dolore su dolore», scrivono un padre e una madre. Dolore che è già una condanna. Dolore che non si sconta e non ha rispetto. Dolore che rende questo processo un calvario. Tocca alla ragazza difendersi e ancora una volta davanti a uno stupro l'onere della prova si ribalta. «Non è facile rimanere in silenzio davanti alle falsità che si continuano a scrivere e a dire sul conto di nostra figlia».

Questa storia cancella anni e anni di parole. Lo stupro non è soltanto carne violata. Non è quello che vivi quando lo subisci. Lo stupro resta, continua. Lo stupro è anche il dopo. È la storia messa in piazza. È la vittima che finisce per ritrovarsi sempre un po' colpevole. È la giustizia come pettegolezzo. Non è difficile immaginare quello che sta accadendo. «Ma quel video di cui parla Grillo non si può vedere?». «Dove lo trovo?». «Me lo giri?». E c'è qualcuno che in qualche modo è riuscito ad averlo. Fuga dagli atti, perché tanto tutto quello che è nelle carte dei processi diventa pubblico.

Non si scappa. È così che comincia il traffico, di messaggino in messaggino, come se fosse la cosa più scontata in una società dove tutto è pubblico e il vero piacere è guardare il mondo dal buco della serratura.

È la malattia di una giustizia pornografica.

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