Basta alibi ed elemosine il lavoro c'è

Gli sforzi fatti in questi mesi da tanti imprenditori, con l'obiettivo di rafforzare le proprie attività e ricostruire la normalità compromessa dall'epidemia, stanno producendo risultati. L'economia ora comincia a mandare segnali positivi.

Basta alibi ed elemosine il lavoro c'è

Gli sforzi fatti in questi mesi da tanti imprenditori, con l'obiettivo di rafforzare le proprie attività e ricostruire la normalità compromessa dall'epidemia, stanno producendo risultati. L'economia, che pure era crollata nel 2020, ora comincia a mandare segnali positivi.

Secondo il bollettino del Sistema informativo Excelsior, elaborato da Unioncamere e Anpal, nel trimestre settembre-novembre le aziende hanno in programma di assumere un milione e mezzo di persone. Il numero è alto e può perfino sembrare esagerato, ma non lo è se si considera l'entità del disastro che ha avuto luogo negli ultimi 18 mesi, che hanno compresso in modo impressionante il sistema produttivo. D'altra parte, i dati riferiti al solo mese di settembre parlano di ben 526mila lavoratori cercati dalle imprese; quel milione e mezzo, quindi, non appare fuori luogo. Se da un lato abbiamo un'economia privata che è alla ricerca di un milione e mezzo di lavoratori, dall'altra parte troviamo una cifra sostanzialmente sovrapponibile, riferita ai percettori del reddito di cittadinanza. Essi sono attualmente 1,22 milioni, a cui andrebbero aggiunti quanti godono di una pensione di cittadinanza. La vicinanza tra le due cifre è suggestiva, perché ci dice che c'è un'Italia che offre lavoro e un'altra, invece, che non sembra domandarlo, né volerlo. Ovviamente i contribuenti dovrebbero più che legittimamente attendersi che quanti sono aiutati dallo Stato adesso facciano il possibile per soddisfare le esigenze delle imprese, le quali hanno un disperato bisogno di operai e impiegati. Tutto ciò sarebbe straordinario, ma è al tempo stesso altamente improbabile.

L'analogia tra le due cifre la dice lunga, a ogni modo, su questa misura del reddito di cittadinanza che i settori più assistenzialisti della sinistra e soprattutto i Cinquestelle difendono a denti stretti: anche per il carattere simbolico che ha assunto. Sebbene sia stato creato per fronteggiare le difficoltà di quanti non hanno un posto di lavoro, oggi il reddito di cittadinanza è una misura di pura redistribuzione della ricchezza, che nei fatti sta radicalizzando la povertà di taluni settori della società e sta perfino spingendo molti a non ricercare un impiego. È chiaro che fin dall'inizio c'era molto di inaccettabile in questa scelta politica compiuta dal primo governo Conte. Se essa, però, fosse servita in situazioni estreme e di fronte a difficoltà acute con l'obiettivo di aiutare a cercare un lavoro quanti non ce l'hanno ora sarebbe possibile uscire da quella fase e rivitalizzare l'economia nel suo insieme.

In queste settimane caratterizzate da un mercato del lavoro che porta alla luce un'offerta di posti anche consistente, la scelta politica che più simbolizza la fase grillina della nostra storia recente è di

tutta evidenza un serio ostacolo sulla via di una significativa emancipazione dei gruppi più disagiati. È di più lavoro e di più produzione che abbiamo bisogno, perché con le elemosine di Stato non si va da nessuna parte.

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