Finale di partita

Quei trent'anni di idee dureranno per sempre

La sua presidenza ha dato una svolta, i suoi successi resteranno per sempre

Quei trent'anni di idee dureranno per sempre

Sono stati 30 anni di idee, oltre che di calcio. O prima che di calcio. E sono stati anche 30 anni di idee sul calcio. Silvio Berlusconi che lascia il Milan chiude un'era rivoluzionaria: 1986-2016, il calcio diventato definitivamente moderno e poi anche globale. Vedete quello che c'è oggi? Non esisterebbe senza l'ingresso nel mondo del pallone di Berlusconi. Con lui, trent'anni fa, il calcio è diventato un'azienda e uno spettacolo sempre più grande. L'idea più rivoluzionaria di tutte è stata collegare a doppio filo il marketing e l'internazionalizzazione con il campo, con l'idea di un calcio innovativo, piacevole, con la fine del catenaccio, con la mentalità vincente. Il giuoco, come non ha mai smesso di dire Berlusconi, è stato il centro di tutto. Il bel giuoco. Scelse Arrigo Sacchi tra lo scetticismo universale e cambiò per sempre il calcio. Il Milan degli invincibili è stato una pietra miliare del pallone contemporaneo proprio perché ha unito il gioco e l'innovazione, la contemporaneità di un club che si specchia nel pressing, nelle verticalizzazioni, nelle giocate che oggi sembrano scontate e che all'epoca erano inedite. E perché con quelle idee di gioco, la squadra diventò un fenomeno di costume internazionale. Chi ha avuto la fortuna di vivere in prima persona quella stagione incredibile ricorda spesso una amichevole a Manchester, a Old Trafford (lo stadio dello United), ovvero in uno dei monumenti del calcio, con il pubblico estasiato dalla bellezza del gioco del Milan. Stesso discorso per la finale di Coppa dei Campioni del 1989, a Barcellona, vinta per 4-0 con la Steaua Bucarest e considerata ancora oggi una delle partite meglio giocate da una squadra negli ultimi trent'anni. Fu un punto di svolta anche nella percezione di che cosa stesse diventando il Milan: 90mila tifosi viaggiarono per l'Europa per seguire la partita. Quella squadra vincente costruita con un'idea precisa dell'identità di un club e della sua rosa di giocatori è stata la presa di coscienza del portato innovatore del Milan di Berlusconi.

Il Real Madrid era già dagli anni Cinquanta una squadra conosciuta in tutto il mondo, così l'Inter di Herrera, lo stesso Milan vincitore delle Coppe dei Campioni versione anni Sessanta, o la Juventus a cavallo dei Settanta e Ottanta. Ma essere conosciuti al mondo ed essere autenticamente internazionali sono due cose diverse. Con il Milan di Berlusconi è cominciata l'era della globalizzazione del pallone. Senza quel Milan ci sarebbero ovviamente il Real e il Barcellona, ma non sarebbero come li conosciamo oggi. Casi come Paris Saint-Germain, Chelsea e Manchester City invece non esisterebbero. La prova sta proprio nella cessione alla cordata cinese: oggi il Milan, pur non vincendo da qualche anno, ha in Cina 242 milioni di tifosi. E ciò dipende dal lavoro fatto in questi 30 anni e che ha portato a vincere cinque coppe dei Campioni, due Intercontinentali, un mondiale per club, 5 Supercoppe europee, 8 scudetti, 6 Supercoppe italiane, una Coppa Italia. Il totale è 28 trofei.

Ma non è una contabilità asettica. Prima e dopo quei trofei ci sono appunto le idee. E sono idee che hanno riguardato il Milan e però non solo il Milan. Le prime si sono viste a lungo nel calciomercato, compresa la valorizzazione di quello che il vivaio del club offriva. E quindi Baresi, Maldini, Costacurta, Gullit, Van Basten, Rijkaard, Ancelotti, Donadoni, Papin, Weah, Boban, Savicevic, Leonardo, Nesta, Rui Costa, Shevchenko, Ronaldinho, Rivaldo, Kakà, Inzaghi, Pirlo, Crespo, Thiago Silva, Ibrahimovic. Poi gli allenatori: Sacchi, Capello, Zaccheroni, Ancelotti, Allegri. Nessuno di questi prima di essere al Milan era ciò che è stato dopo l'esperienza in rossonero.

Poi ci sono le innovazioni che hanno contagiato gli altri. La tv, per esempio. Lo spettacolo televisivo che ha trasformato il calcio nell'evento collettivo globale con più spettatori d'Europa. È ciò che ci godiamo oggi.

E che non c'era, perché nessuno prima era riuscito a vedere oltre un campo, due porte e un pallone.

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