Bisogna fermare le porte girevoli

Stop alle porte girevoli. Chi si toglie la toga e si mette una casacca con i colori della politica non potrà più tornare indietro

Bisogna fermare le porte girevoli

Stop alle porte girevoli. Chi si toglie la toga e si mette una casacca con i colori della politica non potrà più tornare indietro. Il ponte levatoio, che oggi è attraversato da troppi pendolari e da troppi pregiudizi e retropensieri, resterà alzato. A dirlo, ora, è anche il segretario di Magistratura democratica, la storica corrente dei giudici rossi, Stefano Musolino. Anzi, Musolino, nell'intervista concessa al Giornale, scandisce i concetti con forza, in modo quasi solenne, invocando una «norma primaria», insomma una legge, per segnare una volta per tutte il confine fra magistratura e politica.

Una frontiera attraversata infinite volte da un battaglione di pm, e non solo, pronti a monetizzare con una candidatura, di solito a sinistra ma qualche volta pure dall'altra parte, la popolarità conquistata sul campo di difficili battaglie.

Dovrebbe bastare il buonsenso: chi è super partes non può sposare una parte. Se lo fa non deve più voltarsi indietro, come in certe pagine della Bibbia. Da noi invece abbondano le star e i peones che hanno sedotto l'opinione pubblica abbagliandola con il loro curriculum nella trincea della legalità. Sono diventati senatori, deputati, sottosegretari, sindaci, oppure, con altrettanta nonchalance, capigruppo dell'opposizione in consiglio comunale o regionale. Poi, esaurita la spinta propulsiva, hanno ingranato la retromarcia e sono comodamente rientrati nelle aule dei tribunali.

Il risultato di questa contaminazione è sotto gli occhi di tutti: una politica sempre più debole e subalterna agli altri poteri, una magistratura che ha perso autorevolezza e credibilità. E i cittadini, come ha sottolineato nel suo discorso di insediamento Sergio Mattarella, hanno smarrito la fiducia in chi li deve giudicare. Prima di accomodarsi sulla sedia, come imputati o testimoni, si interrogano e chiedono se quel presidente e quel collegio siano progressisti o conservatori.

Un tempo, con la sensibilità del Paese schiacciata sulle posizioni dell'Anm, queste regolette elementari erano state dimenticate e considerate anzi come lacci per imbrigliare la libertà delle toghe, e anche oggi c'è chi considera incostituzionale il muro per separare i due mondi.

Ma la crisi in cui si è avvitata la magistratura costringe finalmente a riflettere sugli errori commessi negli ultimi decenni, almeno dall'avvento, giusto trent'anni fa, di Mani pulite.

Non si tratta di fare del revisionismo facile, ma di ripristinare argini e paletti a difesa di una società che è stata travolta da un'ubriacatura di giustizialismo e ha scambiato le necessarie linee guida della nostra civiltà con privilegi

indifendibili.

Ora i giudici più avveduti, rossi o no non fa differenza, spiegano che si deve voltare pagina. Speriamo che il Parlamento non bruci sull'altare dell'ideologia le riforme che attendiamo dalla fine della Prima Repubblica.

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