
Qual è la "malattia" del campo largo? Dopo il "doppio colpo" subito nelle Marche e in Calabria si è aperto nella sinistra il solito consulto terapeutico. Tante le tesi a confronto. Troppo pro Pal e poco anti Putin. Bulimico di massimalismo e anoressico di riformismo. Impermeabile alle preoccupazioni degli italiani sull'immigrazione e sulla sicurezza. Ciascuna di queste critiche rappresenta una porzione di verità, restituendo l'immagine di un'alleanza fragile perché assai divisa, Pd e 5 Stelle in primis. Ma se la vera "malattia" non si nascondesse in ciò che divide le forze della sinistra, ma esattamente in ciò che le unisce? Mi spiego: i diversi leader si possono combattere, anche aspramente, su qualsiasi tema. Si possono persino odiare tra di loro (come accade) ma si rivelano "testardamente unitari" solo intorno ad un pensiero, diventato ormai un mantra: "impedire alla destra di governare". A nessuno, però, è finora venuto in mente di riflettere se non si celi proprio in questa antica, ma sempreverde, mitologia della "resistenza alla destra" il nuovo fattore K del "campo largo". Eppure, forse, è proprio così.
Nata nella Prima Repubblica (dove spesso per destra si intendevano anche Dc e Psi), essa è esplosa al tempo dei governi Berlusconi dando vita, come si sa, ad una sorta di "guerra civile virtuale". Da allora, salvo parziali sospensioni in occasione dei governi tecnici, non si è mai placata. Rinvigorendosi, ovviamente, con il governo Meloni. Da Prodi a Schlein tanta storia è passata sotto i ponti. Eppure il vero collante ideologico, ieri dell'Ulivo e dell'Unione, oggi del "campo largo" non è mai stata una proposta organica di un progetto di governo, quanto appunto l'evocazione della "resistenza alla destra". Essa disegna un unico grande filo rosso che conduce direttamente dal Cnl a Mani Pulite, e poi dall'anti-berlusconismo all'anti-melonismo, in una notte della Repubblica che agita il sonno di gruppi e individui assolutamente eterogenei tra loro. Ieri, solo per fare alcuni nomi, Scalfaro e Carlo De Benedetti, Prodi e Borrelli. Oggi, Schlein e Conte, Renzi e Landini (o le new entry Ilaria Salis e Francesca Albanese). Ebbene tutte queste persone (ovviamente l'elenco è assai più lungo) hanno fatto e fanno sogni assai diversi. Immaginano modelli di Italia lontani tra loro. Eppure si tengono per mano solo in nome di incubo comune: la destra, appunto. Naturalmente ciascuno di loro negherà di odiare la destra in quanto tale: preciserà sempre di temere "questa specifica destra". Come dire, l'unica destra buona è sempre quella che non c'è.
Di più: nel tempo la sinistra ha imposto un concetto allargato di "destra", finendo per coinvolgere tutta la non-sinistra. Ciò che spiega ieri l'ostracismo verso Bettino Craxi e oggi verso il tema del presidenzialismo, ancora considerato "eversivo" pur se sostenuto da posizioni di sinistra liberale, con tanti saluti a Calamandrei e Valiani. Così come ogni concezione del mercato che non corrisponda a una visione stato-centrica, con buona pace di Blair (e di Lama). L'equazione che ancora informa di sé la cultura politica italiana è semplice: destra = antidemocrazia. Perciò contro ogni governo di destra non è mai sufficiente una pur decisa opposizione politica. Occorre mettere in campo una radicale resistenza morale (e, se è il caso, giudiziaria). Si spiega così il fallimento di ogni tentativo di raggiungere una reciproca legittimazione tra destra e sinistra, arrivando al confine di una vera "anomalia sistemica". È stato difficile con Berlusconi ed è difficile con Meloni godere di un'opposizione "normale", capace di muovere ragionate contestazioni alle strategie governative. Su ogni argomento, infatti, prevale, prima e al di là del merito, la negazione della liceità di qualsiasi atto compiuto dalla destra. Come vivessimo una sorta di "sospensione" della democrazia reale. Di conseguenza gli elettori non vengono chiamati ad una scelta razionale tra programmi alternativi, ma perennemente sollecitati ad una "scelta di campo" ideologica.
Quasi sempre, per giunta, tra fascismo e antifascismo! Ecco allora la vera malattia del "campo largo": non capire che deve riporre negli archivi ogni mitologia della Resistenza perché solo la legittimazione reciproca con la destra lo aiuterà ad arrivare "normalmente" al governo. Facendo diventare così l'Italia una vera democrazia dell'alternanza. Ma avrà la forza e l'intelligenza di guarire?