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Il cane che si morde la coda

C'è un filo che lega il naufragio di Cutro, dove sono morti più di 70 immigrati provenienti da zone di guerra, e l'immigrato clandestino nordafricano, che ha fatto richiesta di protezione internazionale in Germania

Il cane che si morde la coda

C'è un filo che lega il naufragio di Cutro, dove sono morti più di 70 immigrati provenienti da zone di guerra (Afghanistan, Siria) che potevano avere lo status di rifugiati ed essere accolti nel nostro Paese, e l'immigrato clandestino nordafricano, che ha fatto richiesta di protezione internazionale in Germania, ma in attesa, dobbiamo tenere in Italia e che nel frattempo ha accoltellato gravemente alcune persone alla Stazione Centrale di Milano (il 60% degli arrestati è straniero): il filo è che nel nostro sistema c'è qualcosa che non funziona, visto che le nostre porte si aprono ai delinquenti e si chiudono ai richiedenti asilo, a chi scappa da una guerra o da una persecuzione.

La ragione principale è l'ideologizzazione che si fa da noi di un problema planetario di difficile soluzione che ci porteremo dietro nei prossimi cento anni. L'argomento, infatti, è terreno di scontro ideologico e di speculazioni politiche tipo quelle che sono andate in scena ieri in Parlamento quando addirittura un esponente dell'opposizione è arrivato a dire che il governo per i fatti di Cutro dovrebbe essere accusato di strage.

Niente: si è perso il senso delle cose e la politica invece di interrogarsi sulle contraddizioni del sistema dà vita al solito balletto sull'ennesima richiesta di dimissioni nei confronti di un ministro dell'Interno. Basterebbe, invece, mettere in fila i dati non per risolvere il problema (irrisolvibile) delle migrazioni che caratterizzeranno questo secolo, ma almeno per correre ai ripari. C'è più responsabilità nel j'accuse di Papa Francesco contro gli scafisti e nelle parole di uguale segno del portavoce del segretario generale dell'Onu che implora la comunità internazionale di «non lasciar sola l'Italia», che nella polemica continua e inutile di casa nostra.

In fondo, messi da parte i colori e i «credo», a molte domande tutti darebbero la stessa risposta. Dobbiamo evitare le stragi in mare? Sì. Vogliamo evitare di importare dei criminali? Sì. Siamo disponibili a dare asilo a chi viene da Paesi in guerra? Sì. L'Europa ci deve aiutare? Sì. Siamo disposti ad accogliere persone che garantiscano mano d'opera in settori dov'è carente del nostro sistema produttivo? Sì.

È evidente dunque che l'unica strada è quella di selezionare le partenze con una politica dei flussi generosa e creando corridoi umanitari dai Paesi in guerra, tenendo conto della capacità di accoglienza e di inserimento. Una filosofia che stanno adottando anche Paesi di lunga tradizione democratica come Regno Unito e Usa, ma che da noi verrebbe tacciata di razzismo da quella sinistra che non seleziona l'immigrazione e dà vita a ghetti criminali nelle nostre città. Con il risultato di suscitare ondate di rigetto nell'opinione pubblica come accaduto in passato. Il problema è che al buonsenso e al pragmatismo molti preferiscono la retorica strumentale.

Ma la polemica, appunto, non risolve i problemi: come un cane che si morde la coda, si limita a vederli marcire per cibarsi poi, ovviamente, di altri argomenti di polemica.

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