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La "capitana" Carola e la colpa di essere bianchi

La "Capitana" della Sea Watch 3, la 31enne tedesca Carola Rackete, racconta che essere bianchi e benestanti è una colpa e di avere l'obbligo morale di aiutare i migranti

La "capitana" Carola e la colpa di essere bianchi

Essere benestanti e bianchi dev'essere qualcosa di davvero insostenibile per la "Capitana" della Sea Watch 3, la 31enne tedesca Carola Rackete, nuovo idolo indiscusso della sinistra femminista e no border che sfida, con l'appoggio di stampa, intellettuali e opinionisti chic, le leggi dello stato italiano. È lei stessa a confessare il suo insostenibile senso di colpa in un'intervista rilasciata a Repubblica: "La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare tre università, a 23 anni mi sono laureata. Sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto, ho sentito un obbligo morale di aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità".

Passaporto tedesco, nata in Bassa Sassonia, di buona famiglia, Carola ha 31 anni e parla quattro lingue oltre a quella madre: inglese, francese, russo e spagnolo. Secondo lo scrittore Roberto Saviano, la comandante Carola Rackete della Sea Watch "agisce secondo i principi costituzionali del nostro Paese e non sta violando nessuna legge. I porti sono aperti, c’è un’emergenza. Siamo con lei, sento di riconoscermi in questo gesto. Sono persone stremate hanno vissuto nell’inferno libico”. Grazie a Saviano e agli intellettuali laici del politicamente corretto, Carola ha già avuto, almeno in parte, la redenzione che probabilmente cercava.

Il suo curriculum è curioso: laureta in scienze nautiche, ha conseguito un master in conservazione ambientale presso l'università inglese di Edge Hill con una tesi sui nidi degli albatros. È ufficiale di navigazione dal 2011 per un istituto di ricerca marina e polare tedesco e ha una serie di esperienze a bordo di varie imbarcazioni di associazioni come Greenpeace e la British Antarctic Survey, un'organizzazione britannica che si occupa della ricerca e della divulgazione scientifica sull'Antartide. Ha lavorato anche come guida nell'artico russo. Dal 2016 collabora con la Sea Watch per far fronte alla crisi migratoria nel Mediterraneo.

"Tipi come Carola - spiega il professor Marco Gervasoni su Il Messaggero - li abbiamo visti in questi ultimi mesi: sono per la maggior parte tedeschi o olandesi, vengono da famiglie benestanti, predicano l'ideologia no border (no ai confini!) che è quella di una borghesia globalista un po' in declino, e soprattutto non hanno timore a violare le leggi dei vari Paesi". Dalle parole della "Capitana" Carola si comprende quanto sia radicata in lei l'ideologia totalitaria che ripudia la sovranità degli stati-nazione, le sue leggi, e nutre un odio profondo e radicato per i bianchi della classe media, di cui la stessa Carola fa parte. Degenerazione ideologica particolarmente in voga fra i liberals degli Stati Uniti, dove la parola "bianco" è diventata quasi un insulto, una parolaccia, sinonimo di "reazionario". Una colpa da espiare.

Una sinistra liberal che appoggia una forma radicale e totalitaria di multiculturalismo che sottovaluta l'importanza di integrare gli immigrati nella cultura nazionale sotto il vessillo dell'antirazzismo militante. Carola è figlia di questa cultura globalista da figli di papà annoiata che è, a differenza di ciò che lei crede, fortemente élitaria e provoca tensioni sociali soprattutti nei ceti meno abbienti. Perché, alla fine, per quelli come la "Capitana", tutta la colpa è sempre "nostra", dei bianchi occidentali. Nel suo ultimo libro La Notte della sinistra. Da dove ripartire (Mondadori), Federico Rampini, facendo riferimento alla tumultuosa storia dell'Etiopia, parla del "vizio che perseguita noi occidentali: quello di credere che siamo l'ombelico del mondo. Ovverosia, nella versione politically correct, dal dogma per cui ogni sofferenza dell'umanità contemporanea si deve ricondurre alle colpe dell'Occidente, dell'uomo bianco. Basta scavare bene, basta seguire le piste giuste, rispolverare le dietrologie adeguate, e alla fine spuntiamo sempre noi, il nostro colonialismo, il nostro imperialismo, il nostro capitalismo. Solo espiare le nostre colpe può appagare una sinistra che non apre mai i libri di storia".

Comunque vada, le Ong come la Sea Watch si dimostrano abili nel perseguire i propri obiettivi: attirare l'attenzione per fare pressioni sui governi in quanto portatori di una "coscienza globale" che ha l'obiettivo dichiariato di sfidare gli stati e la loro autorità. Perché l'immigrazione rappresenta una formidabile arma di coercizione ancor prima che un business.

Come scrive Gian Micalessin su IlGiornale, infatti, il fine dei pirati è demolire gli stati e soddisfare gli interessi di nuove entità sovranazionali poco disposte a metterci la faccia. Carola, per costoro, è la perfetta eroina contemporanea.

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