Il carabiniere del caso Consip e gli sms truccati contro Maroni

Il carabiniere del caso Consip e gli sms truccati contro Maroni

«Il tribunale è stato truffato», tuona Domenico Aiello, difensore del presidente della Lombardia Bobo Maroni. Il tribunale è quello che sta processando Maroni per i favori che avrebbe imposto a Expo, aiutando due sue storiche collaboratrici ed amiche: un processo che si trascina da anni, e che potrebbe costare a Maroni, in caso di condanna, la decadenza dalla carica in base alla legge Severino. Ma ieri nell'aula fa irruzione il caso sollevato dal legale di Maroni. Gli sms su cui si basa l'accusa più pesante, l'induzione indebita, sono stati taroccati: non nel contenuto, dice, ma nell'orario. E l'orario è decisivo, perché è quello che tiene il processo a Milano: altrimenti tutto verrebbe trasferito a Roma, e chissà che fine farebbe.

A rendere tutto più complicato c'è la firma che sta in calce alle intercettazioni che secondo la Procura incastrano Maroni. È quella di Giampaolo Scafarto, capitano dei carabinieri in servizio - all'epoca dei fatti - al Noe, il Nucleo Operativo Ecologico dell'Arma. È l'ufficiale reso famoso da un'altra inchiesta condotta dal Noe: l'indagine sulla Consip, arrivata a scavare sul padre di Matteo Renzi. Nel caso Consip, Scafarto è finito nei guai, incriminato insieme al pm titolare di quel fascicolo, il napoletano Henry John Woodcock dalla Procura di Roma per avere falsificato il contenuto di una intercettazione telefonica che accusa babbo Renzi. Proprio oggi Woodcock verrà interrogato a Roma. E intanto il nome rispunta nel giallo delle intercettazioni su Maroni.
Anche l'indagine sul presidente lombardo è una creatura del Noe: nasce infatti da una costola dell'indagine su Finmeccanica, aperta a Napoli da Woodcock e affidata, tanto per cambiare, al reparto del capitano Scafarto. Poi il fascicolo viene spostato per competenza a Busto Arsizio, ma a indagare è sempre il Noe: che, di intercettazione in intercettazione, arriva a mettere nel mirino Maroni. E qui accade il pasticcio.

Tutto ruota intorno ai messaggi che il 28 maggio 2014 si scambiano Giacomo Ciriello, braccio destro di Maroni, e Christian Malangone, stretto collaboratore di Beppe Sala, allora ai vertici di Expo. Ciriello chiede che sulla missione Expo per Tokio venga imbarcata anche Maria Grazia Paturzo, storica collaboratrice di Maroni. Malangone alla fine acconsente via sms.
Il tribunale, il 7 luglio dello scorso anno, aveva stabilito che era l'sms di Ciriello a Malangone a stabilire la competenza territoriale.

Ma dov'era in quel momento Malangone? Accanto a Beppe Sala, partiti entrambi alle 11 da Milano per Roma a bordo di un aereo Gulfstream 5 di Diana Bracco. Nei brogliacci dei carabinieri, l'sms porta l'orario delle 12,45. E il tribunale aveva ritenuto possibile che a quell'ora l'aereo fosse ancora per aria («l'aereo più lento del mondo», aveva commentato Aiello), radicando così la competenza a Milano, aeroporto di partenza.

Ora si scopre che quell'sms nelle carte ha tre orari diversi: il 12,45 indicato nei brogliacci, un orario leggermente diverso nella perizia. Ma nelle relazioni di servizio dei carabinieri del Noe l'orario è 13,46. Se è quest'ultima l'ora giusta, è ovvio che Malangone e Sala erano ormai sbarcati a Roma, essendo passate ormai due ore e tre quarti dal decollo.

Ma quelle carte firmate da Scafarto sono rimaste imboscate fino ad oggi, il tribunale ha deciso sui brogliacci: «I brogliacci manipolati non dovrebbero esistere, ma qui ci sono», dice Aiello ai giudici, «e non è questa l'unica anomalia di questo processo». Nel capo di imputazione, il testo di un sms venne addirittura cambiato: errore materiale, si disse allora. E stavolta?

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