Dopo avere co-scritto, trascinato da Tomaso Montanari, un libro «contro le mostre», Vincenzo Trione, non avvezzo all'arte antica, si imbatte nella mostra su Caravaggio a Milano (ricca di bei quadri, ma essenzialmente commerciale), e ne loda il rigore, definendola «filologicamente ineccepibile ma anche misuratamente spettacolare». Su questi presupposti appare a Trione «un appuntamento imperdibile». Trattandosi di una parata di opere note, che era meglio non spostare, è vero il contrario: la mostra è perdibilissima. L'analisi di Trione si basa sulla sua inesperienza.
Egli afferma che «diversamente da quel che spesso avviene nei (falsi) eventi dedicati a Caravaggio, in mostra ci sono non tele di dubbia autografia o di allievi più o meno diretti, ma opere di paternità certa»: e qui casca l'asino.
L'esposizione, composta con ciò che era possibile avere, si avvale, considerandole autografe, anche di repliche modeste come il Ragazzo morso dal ramarro della Fondazione Longhi (l'originale è alla National Gallery di Londra), l'Incoronazione di spine della Banca di Vicenza, universalmente ritenuta una copia («riabilitata» da Mina Gregori per favorirne la vendita), la Sacra famiglia della collezione Otero Silva di Caracas, di autografia improbabile. In tutta la mostra, infine, certamente spettacolare, non vi è nessuna novità critica o filologica. Se ha dubbi Trione, provi a chiederlo al suo amico Montanari, che tanto si è applicato a Caravaggio.
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