Ma il centrodestra vuole la testa del ministro rosso

Il "caso Speranza" c'è, eccome, ma è di complicata soluzione

Ma il centrodestra vuole la testa del ministro rosso

Il «caso Speranza» c'è, eccome, ma è di complicata soluzione. «Mario Draghi confida uno dei leader della maggioranza - non considera il ministro della Salute un genio, anzi per nulla, ma non credo che abbia il coraggio di rimuoverlo. Certo, se poi uscissero altri impicci nelle inchieste...». Una difficoltà nell'ipotesi di «rimozione» di cui il primo ad essere consapevole è proprio Speranza: ieri mattina, rispetto alle voci che lo vedono sul punto di fare le valigie, ha negato tutto ad un compagno di Liberi e Uguali e, anzi, ha mostrato uno spirito battagliero. «Io si sfogava non ho sentore di tutto questo. Del resto appena una settimana fa Draghi mi ha confermato la fiducia. Comunque chiederò un chiarimento al premier». Qualche ora dopo è arrivata la smentita di Palazzo Chigi sulle voci di un cambio al ministero della Sanità, ma in questi casi non si sa mai quanto valga.

Resta il fatto che cambiare il ministro della Salute è difficile come la quadratura del cerchio. Ci sono i «pro» e i «contro». Da una parte ci sono gli «impicci» che giorno dopo giorno saltano fuori sul fronte della gestione della pandemia, a cominciare da quella relazione di uno dei responsabili dell'Oms in Italia, Zambon, che faceva un quadro spietato delle manchevolezze dell'operato del governo Conte nella prima fase della pandemia, magari insabbiata con l'assenso dello stesso Speranza, visto che il capo di gabinetto del ministro ne era a conoscenza; e, ancora, c'è un giudizio non entusiasta del premier sul suo ministro, che resta però custodito nel suo stretto «inner circle», nel nido del Drago. Dall'altra, però, c'è il problema di non poco conto che far fuori Speranza farebbe venire a mancare, dopo le sostituzioni di Arcuri e di Borrelli, l'unico anello superstite che unisce l'esperienza attuale con quella del governo precedente: fatto fuori Speranza sarebbe conclamata non tanto la «discontinuità» quanto la rottura con l'esecutivo di Conte; di più, ci sarebbe una sorta di sfiducia di Draghi verso «Giuseppi» e il suo governo, quindi verso quel pezzo della sua maggioranza (5stelle, Pd e Leu) che ne ha condiviso le responsabilità politiche. «La rimozione di Speranza spera non per nulla Matteo Salvini renderebbe plateale la discontinuità rispetto agli errori del governo Conte».

Un bel «rebus», insomma, di quelli che normalmente si risolvono con la saggia formula latina del «promoveatur ut amoveatur». E, a quanto si dice, Draghi l'avrebbe pure esplorata in termini generici, riconoscendo al suo ministro «il lavoro importante svolto nella pandemia» e spiegandogli che nel consesso europeo «l'Italia dovrebbe contare di più». Tant'è che qualcuno tra i collaboratori del premier ha ventilato in privato la possibilità di metterlo al posto di Sandra Gallina, l'italiana che ha trattato per i vaccini per conto della Ue con le Big Pharma, con i risultati deludenti che tutti hanno sotto gli occhi. Congetture che Speranza, però, non ha colto. O ha fatto finta di non cogliere. Anche perché un'operazione simile a questo punto sarebbe scoperta, e il premier anche esportando il ministro della Salute all'estero, con tutti gli onori e tanto di fanfara, non avrebbe nessuna foglia di fico abbastanza larga per coprirla. «A meno che rincara il renziano Michele Anzaldi non escano fuori altre sorprese. Non dimentichiamoci che Speranza, come Arcuri, era uno dei terminali di un gruppo capeggiato da un ex presidente del Consiglio (D'Alema, ndr) che si è mosso con una certa spregiudicatezza nelle vicende della pandemia, usando nuovi e vecchi agganci. Addirittura era nel board della Fondazione cinese che ha favorito una società collegata per vendere all'Italia mascherine o respiratori farlocchi. E ancora non si sa tutto ciò che è successo nelle pieghe della pandemia. Chissà cos'altro verrà fuori». Motivo per cui Matteo Renzi continua a perorare l'idea di una commissione d'inchiesta, mentre Goffredo Bettini ipotizza che il governo Conte sia stato fatto fuori da una congiura internazionale. Inutile dire a questo punto e la cosa fa sorridere che tra gli ipotetici cospiratori del colpo di Stato frutto della fertile fantasia del consigliere di Zingaretti, potrebbero essere annoverati tutti, tranne, ovviamente, la Cina.

Ma a parte le ironie, che in questi frangenti sgorgano facili, in queste condizioni la quadratura del cerchio resta complicata, se non impossibile. Si rischia di restare a metà del guado, il che non è un bene perché, a parte gli impicci, è sempre più evidente che la gestione dell'epidemia del governo precedente ha avuto grosse falle. E magari Speranza era il meno colpevole. «Cosa dovrebbe fare - si chiede il piddino Matteo Orfini un ministro della Sanità se non assumere la posizione più prudente?!». Solo che nel contempo ha assecondato o non si è opposto questa è la colpa che gli viene addossata in controluce una politica di Conte che provoca guai ancora oggi. «La colpa di Roberto (Speranza ndr) spiega un altro piddino, Luciano Pizzetti è di aver coperto sempre Conte. Ad esempio, sulla tragedia nei comuni di Alzano e Nembro, Conte perse tempo, malgrado Speranza volesse la zona rossa, per non scontentare gli industriali: il premier tentò di scaricare tutto sulla Regione Lombardia ma, soprattutto, non usò l'art.117 della Costituzione che assegna al governo il compito di gestire la pandemia. Quello fu il peccato originale del casino con le Regioni che prosegue ancora oggi».

Il problema di Speranza, quindi, è il simbolo che rappresenta, al di là delle sue responsabilità. È il motivo per cui Salvini, come pure Forza Italia e l'intero centrodestra, non lo vogliono più lì. Ed è la ragione per cui Letta o Bersani lo difendono a spada tratta. «Io di una sostituzione di Speranza non ho proprio sentito parlare», giura Graziano Delrio. «È difficile osserva Serse Soverini che si fregia del titolo di ultimo prodiano in Parlamento perché Bersani e i suoi non potrebbero accettarlo. Eppoi sarebbe un modo per condannare a posteriori l'operato di Conte e della sua maggioranza». Ma se la sinistra è schierata senza dubbi, non lo sono tutti i grillini, animati, come al solito, da un sano «pragmatismo» quando si tratta di Potere: il viceministro della Salute, Pier Paolo Sileri, ad esempio, puntualmente si distingue dal ministro, animato dall'ambizione, neppure tanto nascosta, di succedergli.

Resta da vedere se Draghi alla fine mostrerà coraggio e se ne infischierà di tutti questi ragionamenti, se andrà avanti come un treno destinando ad altro incarico l'ultimo superstite del governo Conte nella guerra al Covid-19, quello che nel suo libro mai uscito individuava nella lotta alla pandemia lo strumento della sinistra per ristabilire la propria «egemonia»: farfugliamenti «tardo-comunisti» per dibattiti da Casa del Popolo. «Speranza si sa, è questo osserva con filosofia Carlo Calenda , ma Draghi non lo cambierà. Semmai non lo avrebbe dovuto nominare ministro due mesi fa».

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