Che caduta di stile: anche Chanel copia

La casa di moda condannata a pagare 200mila euro per contraffazione. Tutto per colpa di un uncinetto

Coco Chanel, pseudonimo di Gabrielle Bonheur Chanel
Coco Chanel, pseudonimo di Gabrielle Bonheur Chanel

Duecentomila euro per una giacca. Non è il prezzo dell'ultima modello haute couture di Chanel, ma la cifra che la maison dovrà pa­gare a un piccolo terzista francese, da cui la storica griffe «ha copiato modello e tessuto». Lo ha stabilito venerdì scorso la corte d'Appello di Parigi, che ha condannato la maison a pagare appunto 200mila euro di danni (oltre agli interessi) a una piccola azienda di tessuti, la World Tricot. Per contraffazione. Una vicenda che si trascina dal 2005, quando l'azienda era ricor­sa alla giustizia accusando Chanel di aver copiato e fatto produrre in Italia un motivo crochet creato dal suo atelier. Una vicenda che ha dell'incredibile, perché da quan­do, nel 1920, mademoiselle Coco inaugurò il suo primo atelier pari­gino in Rue de Cambon, Chanel è stata una delle griffe più imitate al mondo. Prima di tutto per le idee geniali della sua fondatrice, che ha rivoluzionato la storia della mo­da e del costume, traghettandola nell'era moderna, lanciando stili e tendenze ancora oggi attualissi­me (e super copiate): dai tailleur dal taglio perfetto tanto amati da Jackie Kennedy alle giacche con bordo a contrasto fino al tubino ne­ro, dai bijou di perle alla famosissi­ma catena intrecciata con la pelle, dalle scarpe bicolore aperte sul tal­lone ( le «chanel», appunto) fino al­le borse in agnello trapuntato, la li­sta è lunghissima. E poi per le centi­naia di oggetti del desiderio pro­dotti nel tempo dalla maison gui­data negli ultimi 30 anni (o quasi) con successo da un altro genio del­la moda, Karl Lagerfeld, che a ogni stagione mantiene vivo il dna del­la storica griffe inventando nuovi modelli e innovative variazioni sul tema. Puntualmente scim­miottate in tutto il mondo.
Ma Chanel è anche uno dei brand più colpiti dalla contraffa­zione. L'esempio più clamoroso è
la 2.55, borsa «cult» a tracolla in pelle trapuntata con la famosa ca­tena, rinnovata negli anni ma ri­masta sempre fedele al modello creato da Coco in tempo di guerra, con quella tasca sul retro per na­scondere la corrispondenza segre­ta di mademoiselle, e che ora pro­babilmente è il modello più con­traffatto della storia ( basti guarda­re qualsiasi bancarella abusiva). Il fatto che ora il mito Chanel vacilli per una banale copia di una giacca lavorata all'uncinetto ha dell'in­credibile. E dire che i guai sono ini­ziati quando una dirigente della World Tricot si è trovata davanti a un modello Chanel, in vetrina a To­kyo, «identico» a quello da loro proposto alla maison e subito scar­tato. Il gruppo Chanel si era oppo­sto all'accusa di contraffazione e aveva rivendicato la «proprietà in­tellettuale » del motivo, e nel 2009 il giudizio di primo grado aveva as­solto la maison. Il colpo di scena era quindi inaspettato. «Dalla comparazione visiva del campio­ne del modello originale e della giacca all'uncinetto di Chanel ri­sulta che il motivo della giacca è una copia fedele del campione ap­partenente alla società World Tri­cot », si legge nella sentenza della corte d'Appello. I vertici di Chanel rispondono sulle colonne di Le Monde , sottoli­neando che «la World Tricot aveva chiesto 2,5 milioni di euro»,e che da­ti i risultati «la sentenza dimo­stra bene la complessità di questa causa sul piano tecni­co ». E che comunque, in tanti anni di successi «non ci siamo mai tro­vati in una situazione del genere prima d'ora, nonostante lavoria­mo con oltre 400 fornitori ».

Pascal Crehange, legale della World Tri­cot, invece è felicissimo: «Una sen­tenza che farà giurisprudenza: è un modo di riconoscere la creativi­tà di tutti coloro che stanno nell' ombra del loro atelier». Chissà co­sa avrebbe pensato mademoisel­le Coco, che è passata alla storia an­che per frasi come «la moda passa, lo stile resta»...

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