L'ennesimo tentativo di Matteo Salvini di accreditarsi come il paladino delle imprese è andato ancora a vuoto. Mentre il centrodestra si divide sull'atteggiamento da tenere verso la manovra economica varata dal governo, Salvini prova a legare con la Confindustria, nell'intento di schierare la sua Lega dalla stessa parte degli industriali, assai critici verso l'esecutivo Conte. E mostrare agli elettori da che parte stare. Così, l'incontro con il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, chiesto dalla Lega e avvenuto martedì, è servito a Salvini per poter dichiarare che «con Bonomi abbiamo parlato di come aiutare le imprese e le famiglie». E che «con gli industriali siamo sulla stessa lunghezza d'onda». La cosa è però passata quasi sotto silenzio. Non se n'è trovata grande traccia sulla grande stampa dove quotidianamente si misura la politica: né su quella meno vicina al centrodestra come Repubblica, né sulla mediana del Corriere della Sera. Mentre il Sole 24 Ore, all'incontro del suo editore con il principale partito di opposizione, ha riservato uno spazio minore a pagina 10.
Il punto è che se si vuole trovare nel centrodestra il partito delle imprese, l'indirizzo non è cambiato nel tempo, ed è quello di Forza Italia. Una realtà storica che non può essere dimenticata, a maggior ragione quando la coalizione di opposizione è attraversata e divisa da scosse telluriche come quelle di queste ore, che inducono a riflessioni.
Bonomi, insieme con il direttore generale dell'associazione industriali Francesca Mariotti, ha accettato volentieri la richiesta di Salvini. Ma è facile immaginarsi l'imbarazzo di fondo nel ricevere di prima mattina, in viale dell'Astronomia, una delegazione guidata da Alberto Bagnai (responsabile economico della Lega) e Claudio Borghi, i migliori cervelli Eurexit in circolazione. Certo, Salvini può sempre evocare la forza del suo partito nelle terre del grande Pil, come Veneto e Lombardia. Ma al di là della nota suggestione e del merito dei governatori di quelle Regioni, a dividere imprese e il segretario della Lega ci sono questioni enormi. Tre su tutte: la prima, per l'appunto, è l'euro, o meglio l'Europa come riferimento geopolitico ed economico; la seconda, strettamente connessa, è il Mes; la terza è la feroce critica, rinnovata di continuo da Bonomi e prima di lui da Vincenzo Boccia, a Quota 100, il cavallo di battaglia della Lega di Salvini. Di queste distanze si è avuta una prova reale il 12 ottobre scorso a Milano quando - davanti allo stesso Salvini - la platea di Assolombarda ha accolto con altrettante ovazioni i passaggi su questi tre temi nel discorso del presidente, Alessandro Spada. Tre ovazioni come tre schiaffi. Se invece si vuole trovare, nel centrodestra, chi ha votato la Commissione Von der Leyen, chi crede nel Mes e chi non applaude alle pensioni quota 100, sempre a Forza Italia bisogna rivolgersi.
D'altra parte il tentativo del nuovo corso di Salvini è partito l'8 ottobre scorso con l'intervista al Corriere sulla svolta della Lega verso una «rivoluzione liberale». Una clamorosa dimostrazione, con l'utilizzo delle stesse parole, che la strada è poi sempre la stessa, quella indicata da Berlusconi la bellezza di 26 anni fa.
Non che Forza Italia debba pretenderne per forza l'esclusiva; né che possa vantare tutti i risultati sperati. Ma che oggi questo percorso venga fatto proprio dalla Lega, nella sua attuale versione sovranista, non può meritare grande credibilità.
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