Alla domanda dei giornalisti («È vero che volete mettere una mini patrimoniale?») il premier Conte ha risposto con una frase simile a quelle della Sibilla Cumana, che si potevano interpretare in un senso e in quello opposto: «Stiamo facendo ogni sforzo per non introdurre nuove tasse». Il che implica che il governo potrebbe essere costretto a mettere una mini patrimoniale oppure che, per evitarla, debba aumentare altre tasse. Sempre che lo sforzo di non aumentarle abbia successo.
La nebulosità della risposta è aggravata dalle parole successive, con cui il premier ha esibito la cultura di sinistra redistributiva, che caratterizza il Dna del suo governo: «Le nostre misure servono a operare una distribuzione. Si contribuisce, pagando le tasse, ad aiutare chi è in difficoltà, in un circuito di solidarietà». Nelle sue parole, pagare le tasse serve per la «redistribuzione», non per fornire i pubblici servizi e generare la crescita della produzione, in cui i ricchi non possono non esserci.
Il circuito fiscale che lui ha esposto non è quello della produzione ma della redistribuzione che aiuti ciascuno (se è in grado) a contribuire con la sua attività al benessere generale. Purtroppo in Italia il circuito redistributivo non è affatto quello utopico di Robin Hood, prendere dai ricchi per aiutare i poveri. Ma tartassare il ceto medio nelle sue tre componenti: medio bassa, mediana e medio alta. Infatti in Italia nel 2020 (anno di imposta 2019) i contribuenti con più di 150mila euro di reddito annuo sono solo 222mila su 40,7 milioni di dichiaranti, con 58,7 miliardi di reddito fiscale (al lordo di detrazioni e deduzioni) pari al 6,4% del totale dichiarato da tutti i contribuenti. Ciò risulta da una simulazione che ho elaborato con Domenico Guardabascio, in un saggio a favore della flat tax pubblicato dalla rivista Politeia nel 2019. Il grosso del peso fiscale è sui redditi di lavoro dipendente, autonomo, sui redditi dei fabbricati e sulle rendite finanziarie del ceto medio basso, medio e medio alto. I contribuenti pagano, per i redditi dei loro risparmi, una cedolare del 26% che si applica ai depositi bancari, ai guadagni di capitale, agli interessi su tutti i titoli a reddito fisso delle società e degli altri soggetti finanziari diversi dal debito pubblico, per cui vale la cedolare del 12,5%. Accanto a questi tributi si aggiunge l'Imu per gli immobili, tributo prima suddiviso e poi riunificato, con aliquote via via più onerose, salvo (per ora?) la prima casa.
Se l'imposta sul reddito è progressiva, la patrimoniale sul reddito è una doppia tassazione. E se il peso della tassa sul reddito riduce la crescita del Pil, la patrimoniale è benzina sul fuoco, lanciata su un altro fuoco che sta distruggendo il ceto medio, il Coronavirus. Su cui stanno gettando benzina il governo e i suoi esperti.
Costoro non hanno tenuto conto che per deliberare bisogna conoscere, e che ciò costa tempo e denaro (in termini tecnici, da Ronald Case in poi, «costi delle transazioni»). Così hanno ordinato chiusure di filiere senza significativi effetti, colpendo soprattutto servizi e beni prodotti dal ceto medio.
Gli indennizzi sono un rimedio relativo: costano, tendono a esser tardivi, non creano ricchezza. Il ceto medio, essenziale per la crescita e la creatività, è in grave rischio, egregio signor Robin Hood. Non si scherza col fuoco.
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