Chi non argina il degrado

"Vado via da questa città, basta", dice Franco Cutolo, padre del giovane ammazzato a colpi di pistola nel centro di Napoli da un sedicenne: movente, la lite per un parcheggio

Chi non argina il degrado
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«Vado via da questa città, basta», dice Franco Cutolo, padre del giovane ammazzato a colpi di pistola nel centro di Napoli da un sedicenne: movente, la lite per un parcheggio. È un grido di resa, l'eco del fuitevenne, andatevene, che trentatré anni fa un parroco lanciò ai parrocchiani onesti di Forcella. È un grido di rabbia e disperazione che chiama in causa tante responsabilità, ovunque in Italia esista un pezzo di Stato abbandonato al nemico peggiore di tutti, quello su cui tutti gli altri nemici prosperano: la mancanza di regole, di prospettive, del patto sociale che sta alla base del convivere civile. Il Foro Italico di Palermo e Caivano si impongono in questi giorni all'attenzione pubblica per gli stupri animaleschi che vi sono accaduti, e per la solidarietà che ha circondato più gli aguzzini che le vittime. Sparse nel Paese, altre Caivano vivono ogni giorno le stesse condizioni, in attesa che una inevitabile tragedia catapulti anch'esse in prima pagina.

Tra le responsabilità che la disperazione di Franco Cutolo chiama in causa, una spetta alla magistratura, al ruolo che ha scelto di giocare di fronte al degrado. C'è un dato eloquente, reso noto il 17 luglio scorso dal presidente del tribunale per i minori di Milano Maria Carla Gatto: nel capoluogo lombardo ci sono più procedimenti penali a carico di minorenni che a Napoli. Come si spiega? Anche a Milano ci sono sacche di degrado e devianza giovanile. Ma è ovvio che non sono paragonabili alla dimensione catastrofica che questi fenomeni hanno assunto a Napoli e nel suo hinterland. E allora come si spiega? È lecito pensare che davanti alla pandemia criminale che investe alcuni territori le Procure abbiano deciso di rinunciare a una parte del loro ruolo, concentrandosi su emergenze più visibili, su operazioni più prestigiose, su risultati più certi, anziché dedicarsi a fare sentire la presenza della legge in quartieri dimenticati da tutti? Ora a Caivano arriverà l'esercito, e sarà un segnale di presenza dello Stato. Ma poi servirà un ripensamento della risposta giudiziaria. Bisogna dimostrare ai ragazzi che a sedici anni girano con la pistola in tasca che la legge esiste, e che le conseguenze si pagano. Gli arresti vanno fatti, come le forze dell'ordine chiedono invano ogni notte, sentendosi rispondere quasi sempre di no dal pm di turno. Non si tratta di «buttare via la chiave», il percorso di recupero e di reinserimento è un passaggio doveroso tanto per il colpevole che per la società, soprattutto in queste fasce di età. Quanto accade deve tornare ad essere una emergenza non solo sociale, scolastica, culturale, ma anche giudiziaria.

L'obbligatorietà dell'azione penale, prevista a fini nobili dalla Costituzione, è ormai il grande alibi che consente ai capi delle Procure di non assumersi la responsabilità di scegliere pubblicamente le priorità da affrontare. Senza questo alibi, quante giustificazioni dovrebbero oggi fornire?

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