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Chi prova a salvare vite e chi se ne lava le mani

Un naufragio in un mare di polemiche. C'è quella, naturalmente sulle prime pagine, scatenata dalle Ong contro il governo che ha cambiato le regole del gioco, ma questo è solo l'incipit

Chi prova a salvare vite e chi se ne lava le mani

Un naufragio in un mare di polemiche. C'è quella, naturalmente sulle prime pagine, scatenata dalle Ong contro il governo che ha cambiato le regole del gioco, ma questo è solo l'incipit. Ora Frontex, l'agenzia che dovrebbe tenere alta la bandiera della sempre traballante Europa, si rimpalla la responsabilità del disastro con la Guardia costiera che risponde per le rime: «Ci dissero che il barcone navigava regolarmente».

Non basta, a ventaglio si aprono altre crepe: la distinzione fra operazione di soccorso e di polizia e dunque l'intervento, non adeguato fra quelle onde, delle unità della Guardia di finanza. Già che ci siamo, vorremmo porre anche noi una questione elementare: il peschereccio era partito non dalle spiagge senza padrone della devastata Libia ma da un porto della Turchia, un Paese che ha mire egemoniche su mezzo mondo ma evidentemente tollera che mafiosi, scafisti e criminali spadroneggino, si facciano pagare cash da centinaia di disperati in fila verso un destino migliore, armino, si fa per dire, un legno, partano come un traghetto qualunque con la gente stipata in ogni anfratto dell'imbarcazione.

Possibile che avvengano scempi del genere ai confini dell'Europa? Roma chiederà spiegazioni ad Ankara? E Bruxelles?

La filastrocca cupa delle responsabilità mostra ancora una volta che ci troviamo davanti a un problema immane, da non rinchiudere nel perimetro soffocante della polemica politica. Si mettono in mezzo le norme varate dall'esecutivo Meloni che però, obiettivamente, c'entrano poco o nulla con quanto accaduto. Sì, dovremmo tutti toglierci le lenti dell'ideologia. La realtà è un puzzle che impegnerà le prossime generazioni e non potrà essere risolto con uno schioccare di dita recitando una specie di formula magica. Ciascuno di noi, ciascun Paese ha qualche tessera ma nessuno purtroppo ha tutte le carte fra le mani.

Ci sono Paesi che lasciano scivolare via come intrusi i migranti, altri che chiudono gli occhi al loro passaggio su barchette di fortuna, altri ancora, vedi il Nord Europa, che ci pagherebbero volentieri in moneta sonante per continuare a fare gli affari loro. Poi ci siamo noi, con i nostri difetti, la nostra abnegazione, e le liti che scambiano il cortile di casa nostra per il mappamondo.

Proviamo a pensare per un attimo: se l'Europa avesse rappresentanze operative e antenne in Turchia, ma non solo lì, dove stazionano milioni di profughi, potrebbe organizzare flussi regolari e corridoi umanitari, potrebbe prevenire o almeno gestire drammi come quello cui abbiamo appena assistito, in lacrime, prima di riprendere il solito, cinico gioco dello scaricabarile: di chi è la colpa? Chi si prenderà il matematico avviso di garanzia in arrivo dalla Procura di turno?

Si continua a litigare per non cambiare nulla. Risultato: sono morti donne e bambini in fuga da regimi dittatoriali, come l'Afghanistan. Avevano tutto il diritto di bussare alla nostra fortunata condizione e di ricevere protezione.

Non hanno avuto scampo.

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