Ci siamo disabituati all'incubo atomico

Adesso stiamo qui a interrogarci su cosa intenda davvero fare Donald Trump. Quello che sappiamo è che l'America è tornata a fare l'impero

Ci siamo disabituati all'incubo atomico

Una volta, quando il vecchio Novecento era ancora un secolo di mezza età, qualcuno disse che la miglior difesa contro la bomba atomica è trovarsi in un altro posto quando la sganceranno. Forse neppure basta. Qualcuno magari si ricorda la Guerra fredda, soprattutto gli ultimi anni, prima di Gorbaciov, con Ronald Reagan che per evitare rischi disegnava lo scudo spaziale. Erano pure gli anni dell'Aids, ma per i ragazzini di allora la grande paura metafisica era questa minaccia fantasma, una sorta di apocalisse da scelleratezza umana, con Washington che spinge il pulsante sbagliato e Mosca che risponde, o viceversa. L'incubo della guerra nucleare. Non era tanto roba da telegiornali, lì si parlava di vertici, di Gromyko, di missili a Comiso, di boicottaggi olimpici, di Salt II e Cuba libre.

Erano i film, i fumetti, i cartoni animati, i romanzi di fantascienza che ti facevano crescere con l'ipotesi di un futuro post atomico, post moderno, post umano. Ti vedevi «sopravvissuto» (l'ottimismo è l'altra faccia degli anni '80). Come in The day after, con le bombe sovietiche che spazzano via Kansas City alle 15,38 e poi a catena tutto il resto, da Ovest ad Est, e quelli che restano riemergono nel nulla e si arrabattano, nuova razza di un'umanità raminga. E il trailer in italiano che predica: «Se questo giorno dovesse venire sarebbe la fine di tutti i giorni». L'altra ipotesi è che siamo salvi per un lancio di dadi fortunato, per un nonnulla più forte della follia degli uomini o dei computer, come nel Dottor Stranamore o in Wargames. Qualcosa o qualcuno ci ha fatto la grazia. In realtà è andata proprio così. Quello da ringraziare è il tenente colonnello dell'Armata rossa Stanislav Petrov. A mezzanotte e un quarto del 26 settembre 1983 questo ufficiale è di servizio al bunker Serpuchov 15 con il compito di monitorare il sistema satellitare anti missili Usa. Quello che vede sul monitor sono cinque testate nucleari partite dal Montana e dirette in Unione Sovietica. L'ordine è di lanciare l'allarme e contrattaccare immediatamente. Petrov non ci crede. Ritiene l'attacco inverosimile e non dà retta a quello che vede sullo schermo. E ha ragione. Il sistema era impazzito. Nessuna medaglia, però. Verrà congedato, senza gloria.

Tutto vero. Siamo sopravvissuti senza apocalisse agli anni '80. La «deterrenza» della paura ha funzionato. Quel Muro a Berlino finalmente è caduto. Il secolo breve a quel punto avrebbe dovuto rallentare e dopo tanto orrore e tanta ansia darsi una calmata. Qualcuno pensò che il peggio era passato, Fukuyama sostenne che la nave era arrivata in porto: fine della storia. Niente più superpotenze. Niente rossi e blu. Nessun mondo diviso in due. Niente imperi. E la Germania unita. Sospiro. Solo che poi l'ottimismo ci ha fregato.

Quel mondo a due piazze aveva un suo equilibrio. Nessuna nostalgia, ma bisogna essere realisti. Quando la Guerra fredda si è spenta con la vittoria dell'America, impero riluttante, la mappa della terra si è riscaldata. Ognuno aveva qualcosa da rivendicare. I primi a svegliarsi, come spesso capita, sono stati i Balcani. La Jugoslavia era una nazione finta. La Jugoslavia era serbi, croati, bosniaci, macedoni, montenegrini, kosovari. L'Europa si è ritrovata la guerra civile all'uscio e ha spento la luce, fingendo di dormire. La Cina ha scoperto il capitalismo e si è comprata il debito pubblico americano. La Russia non è più sovietica ma ha ritrovato uno zar post comunista. E a rendere minaccioso come non mai l'orizzonte è riemersa dal passato la guerra santa del fondamentalismo islamico. Obiettivo: sgretolare ogni sicurezza del maledetto Occidente. La Storia, quella che doveva finire, non solo è viva, ma è profondamente isterica e balla sulle macerie del futuro che avevamo immaginato.

Adesso stiamo qui a interrogarci su cosa intenda davvero fare Donald Trump. Quello che sappiamo è che l'America è tornata a fare l'impero. Interviene. Lo fa in Siria con Assad. Lo fa con i talebani in Afghanistan. Punta e mira la Corea di Kim Jong-un, ultimo rampollo di una dinastia che non conosce la parola moderazione. Il presidente americano cerca un nuovo equilibrio, ma tutto questo ha un costo. L'imprevisto. Si torna a giocare a dadi con lo spettro nucleare. Solo che tutto questo quasi non ci spaventa. È strano.

Ma proprio l'immagine dell'apocalisse, a differenza degli anni della Guerra fredda, arriva sfocata nel nostro immaginario. L'atomica è solo un altro dei tanti spettri che impazzano in questi anni.

Ci stiamo abituando, e rassegnando, alla paura.

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