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Il colpo finale al salvinismo (e al leader forte)

Il colpo finale al salvinismo (e al leader forte)

Il terrore di Matteo Salvini ha un nome. Per conoscerlo devi percorrere con il capogruppo dei 5stelle, Stefano Patuanelli, sotto il solleone di agosto e sui sanpietrini incandescenti, quei trecento metri che dividono il Senato dalla Camera. «La legge di riduzione dei parlamentari - spiega quasi sottovoce - si porterà dietro una nuova legge elettorale proporzionale. Questo Salvini lo sa ed è terrorizzato, perché con il proporzionale il salvinismo è morto a meno che il 51% degli italiani non diventi sovranista. Cosa che dubito. Ecco perché ha perso la testa e ha commesso errori: gli italiani tornano dalle vacanze e trovano il Paese senza governo, con lui che ci pugnala alle spalle, ma come si fa?! La risposta ce l'hai in quei 315mila like che Conte ha avuto sulla sua lettera su Fb. Un'enormità: Di Maio è andato solo una volta sopra i centomila, mentre Salvini due».

Questa prospettiva è la vera bestia nera di Salvini. Anche perché se il prossimo governo entrerà in pista la nuova legge elettorale diventerà sicuramente realtà. Nessuno la mette in dubbio. Giggino Di Maio non si stanca di ripeterlo ai suoi: «Se si riducono i parlamentari il proporzionale è d'obbligo». La vuole Matteo Renzi: «Dovrebbe essere uno dei punti programmatici del prossimo governo». Fa gola a tre quarti dei parlamentari di Forza Italia, stanchi di essere alla mercé degli umori salviniani. E ci vuole poco a capire che la stella del Matteo di destra, nata sotto il segno del rosatellum, rischia di trasformarsi in una meteora e di schiantarsi sotto il segno di un proporzionale alla tedesca o giù di lì. Il proporzionale, infatti, aprirebbe una nuova stagione politica. Verrebbe meno lo schema che ha permesso alla Lega, grazie alla sua concentrazione territoriale di voti che l'ha resa padrona dei collegi uninominali al Nord, prima di diventare il dominus del centrodestra, quindi del paese, e poi di immaginare addirittura una corsa solitaria alle elezioni verso la vittoria. Con il «proporzionale», infatti, verrebbe meno la logica dell'uno contro tutti. Anche un Salvini che veleggi intorno al 35% («ma con gli errori di queste settimane - osserva la maga Ghisleri - è sceso tra il 30-32%») per governare e non essere emarginato nel gioco politico sarebbe costretto a mettere in piedi una coalizione che arrivi al 51%: quindi, dovrebbe mediare, raggiungere compromessi, garantirsi un'alleanza non solo con la Meloni, ma anche con il Cav. Una rivoluzione. Le aree moderate tornerebbero a essere l'ago della bilancia e la politica, in una parola sola, diventerebbe «più mite»: meno clamore, più pragmatismo. In uno scenario del genere potrebbe sopravvivere Salvini, ma non il «salvinismo». Ecco perché per il leader della Lega è vitale vincere la battaglia sul «voto subito»: con l'introduzione del proporzionale, sarebbe sconfitto e gli sarebbe negata la rivincita, la partita di ritorno.

Da qui il «terrore» del Capitano e le mosse convulse di questi giorni. L'accelerazione verso la «crisi», infatti, è stata determinata da un segnale del Quirinale. Il presidente per settimane aveva fatto sapere che se il disegno sulla riduzione dei parlamentari fosse diventato legge, avrebbe garantito la sua applicazione per le prossime elezioni: per cui tenendo conto dell'iter costituzionale previsto per un simile provvedimento - referendum e altro - c'era il rischio concreto che non si votasse neppure la prossima primavera. Fallita la prima spinta verso le elezioni, Salvini ha messo in piedi una serie di goffi tentativi per assicurarsi ugualmente le urne o la permanenza al governo per condizionarne le scelte: prima ha rilanciato il centrodestra, dando però buca all'appuntamento «clou» con il Cav a Palazzo Grazioli; poi, ha tentato di ricostruire l'alleanza gialloverde. Un «tutto e il suo contrario», che l'ha reso inaffidabile agli occhi di molti. Due giorni fa sperava ancora, premendo su Di Maio, di rimettere in sella l'attuale compagine di governo. «Per evitare il ritorno al governo del Pd - ha spiegato ai suoi - sono pronto a votare a favore di Conte martedì. Dipende da cosa dirà».

Ipotesi tramontata, perché - a meno di cambi di programma - il premier, dopo aver fatto le sue comunicazioni o subito dopo il dibattito su di esse, andrà al Colle senza dare modo ai leghisti di votare alcunché. Così a Salvini non è rimasto che affidarsi ai vecchi metodi, a puntare sul trasformismo di deputati e senatori, quando, prima o poi, si arriverà a una conta. Il leader del Carroccio aveva già fatto qualche allusione nell'assembla dei gruppi parlamentari leghisti: «Non dobbiamo inimicarci i grillini con cui abbiamo lavorato meglio». Poi è andato oltre. «A Berlusconi - spiega Gianfranco Rotondi, il più diffidente degli azzurri - Salvini propone il partito unico, un incarico ad honorem e una quota di eletti per gli azzurri. Contemporaneamente lui e Verdini lusingano alcuni grillini (una dozzina): «Se ci aiutate ad andare alle urne i posti in lista - è il ragionamento - li diamo a voi, non al Cav». Motivo per cui la cosa migliore sarebbe se in Forza Italia ci fosse una scissione consensuale, per dare modo a una parte di appoggiare un governo ed evitare le urne. Anche perché se parte il governo e introduce il proporzionale, Salvini è finito». E qualche ragione il «partito dei diffidenti» di Forza Italia, ce l'ha. A uno di loro, appena una settimana fa, il vicesegretario leghista, Lorenzo Fontana, in un momento di sincerità ha spiegato: «Matteo non farà mai un accordo alla luce del sole con Silvio. Altrimenti rischia di fare dieci passi indietro».

Già, con il rischio di non avere una rivincita, il leader leghista deve tentarle proprio tutte. Ma è difficile. «Per l'errore che ha fatto sulla tempistica della crisi - spiega Matteo Renzi, che con il suo «spariglio» sui rapporti con i grillini, ha spiazzato il Capitano - dovrebbero assegnargli il premio coglion d'oro. Si è illuso che dietro agli sms che si scambiava con Zingaretti sulle elezioni, ci fosse tutto il Pd. Spero che ora Zingaretti abbia messo da parte l'opzione urne: non può gridare che Salvini è un pericolo per le istituzioni, e poi aprirgli la strada verso elezioni che gli consegnerebbero il Paese. Tanto più che, a parte Salvini, nessuno vuole votare. Se alla fine Mattarella non trovasse di meglio che mettere in campo un esecutivo, che so Cottarelli, o chi per lui, per approvare la legge di bilancio e portare il Paese al voto, un simile esecutivo andrebbe avanti per mesi se non anni, visto che tra grillini, Pd e Forza Italia una maggioranza lo appoggerebbe sempre». È ciò che pensa pure il dissidente Giancarlo Giorgetti, la Cassandra della Lega: «L'errore di Matteo è non avere voluto ammazzare al momento opportuno chi doveva ammazzare (Di Maio, ndr)».

Amen.

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