Le posizioni degli industriali, in questa delicata fase di ripresa economica, trovano più che una sponda nell'esecutivo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. Gli imprenditori italiani battono il chiodo sui loro temi più identitari, con impronta liberista (almeno a parole) e di mercato, su lavoro, produttività, fisco, pubblica amministrazione, euro. Niente di sorprendente, dunque. Ma l'enfasi con cui Confindustria appoggia questo governo merita una riflessione.
Le scelte effettuate su semplificazioni o licenziamenti, gli indirizzi sul fisco, l'enfasi sulle infrastrutture nel Pnrr sono tutti provvedimenti con evidente paternità nel centrodestra. E in particolare nei riformisti liberali di questo blocco politico, rappresentati, che piaccia o meno, da Forza Italia. Lo stesso blocco che, per simmetria, spinge nella direzione di abolire tutte le forme di improduttivo assistenzialismo denunciate dalla stessa Confindustria, a partire dal reddito di cittadinanza.
In tale contesto abbiamo visto anche ieri inneggiare al governo Draghi il presidente dell'associazione degli industriali, Carlo Bonomi: «In questa, come in tante altre occasioni, dobbiamo rendere omaggio al nostro presidente del Consiglio, per l'opera che svolge, Mario Draghi». Con lui il numero uno dei Giovani di Confindustria, Riccardo Di Stefano: «Con il premier Draghi sappiamo di essere nelle mani di una guida solida e lungimirante». In un certo senso è tutto regolare: gli imprenditori plaudono a un governo fortemente orientato verso le loro storiche inclinazioni. Che stanno naturalmente più a destra che altrove. Peccato però che in altre circostanze non sia stato affatto così. Basta ricordare la diffusa ostilità di larga parte di Confindustria per i governi a guida Berlusconi, quando la simpatia degli industriali tendeva regolarmente verso la sinistra. Un'ostilità culminata, nel 2011, con la spallata all'ultimo esecutivo guidato dal Cavaliere, per fare poi strada a Mario Monti. Gli stessi industriali che per quasi un quarto di secolo hanno snobbato, in politica, quello che sembrava il loro rifugio naturale, e cioè la destra liberale riformista, oggi inneggiano al governo Draghi. Come se questo fosse un unicum finalmente in grado di condurli nella terra promessa, e non un indirizzo politico dovuto a quelle stesse forze politiche liberali a lungo guardate con distacco e fastidio.
È forse la prova che alle élite
economiche del Paese, per dare il sostegno a un governo di destra europeista e liberale, un programma politico creava imbarazzo. Per realizzarlo serviva un premier tecnocrate. Neutrale. Con il quale non sporcarsi le mani.
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