Per quali misteriose ragioni Fabrizio Corona sia ancora in carcere, dopo essere stato liberato una prima volta, pertiene al rovesciamento del principio costituzionale secondo cui la prigione ha l'obbiettivo non di punire ma di riabilitare. L'articolo 27 recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Evidentemente non lo ha letto bene il pm Tiziana Dolci. Dopo il precedente del pluridifeso (da attacchi che non ha avuto) Nino di Matteo, che nelle sue requisitorie abbonda più in teoremi che in fatti, abbiamo adesso la denuncia di «bugie clamorose» (da verificare) da parte di Corona: «Non si può scrivere quello che si vuole in un atto della Procura della Repubblica, siamo in uno Stato civile, non siamo in uno Stato in cui la magistratura può scrivere quello che vuole, vale per me e per tutti i cittadini».
In effetti il dovere della verità, per un pm, dovrebbe prevalere sulla passione per l'accusa che, sostanzialmente, crea una disparità fra il magistrato e l'imputato. E, siccome i fatti non si possono discutere, la reazione a una contestazione non può essere una predica, ma un'affermazione certa.
E invece, tradendo lo spirito dell'articolo 27, la Dolci ha risposto come una preside che crede nell'esempio delle punizioni: «Basta con questa aggressività, non c'è nessun motivo. Faccia tesoro delle esperienze passate». Chissà cosa avrebbe detto a Caravaggio!
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