Coronavirus, così anche gli assassini possono andare a casa

Concessa la detenzione domiciliare all'assassino di Gloria Rosboch e ad uno dei condannati in primo grado per la tragedia di Piazza San Carlo. Entrambi positivi al coronavirus. Aldrovandi: "No a liberazione criminali, aprissero nuove carceri"

Coronavirus, così anche gli assassini possono andare a casa

Nel vocabolario dell'emergenza sanitaria ci sono due parole che continuano a rincorrersi da settimane: "arresti domiciliari". C'è chi le usa a sproposito per definire le restrizioni che stanno costringendo a casa gli italiani. E chi invece le ha messe nero su bianco in un decreto, scatenando un dibattito che non si è ancora esaurito. Il riferimento è alla norma del "Cura Italia" che punta a diminuire l'affollamento nei penitenziari, semplificando le procedure per ottenere la detenzione domiciliare.

La misura si rivolge ai detenuti condannati che hanno un residuo di pena non superiore ai 18 mesi. Ma c'è un paletto in più. Un limite che per senso di giustizia e tutela della sicurezza pubblica non può essere valicato: è escluso dal beneficio chi si è macchiato di reati particolarmente gravi. I soggetti più pericolosi. Purtroppo però viviamo nel Paese delle eterne contraddizioni, delle scappatoie, delle regole un tanto al chilo. E così può succedere che il virus regali la libertà anche a chi non se la meriterebbe. È il caso di Gabriele Defilippi, condannato in via definitiva a 30 anni di carcere per l'omicidio della sua ex insegnante, Gloria Rosboch. Truffata, strangolata e gettata in una discarica. Un delitto agghiacciante, pianificato nei minimi dettagli, che ha scosso la piccola comunità di Castellamonte, nel Canavese. Ci sono voluti tre anni per arrivare all'ultimo verdetto, quello della Cassazione, che a dicembre scorso ha confermato la condanna di appello. Ma a distanza di neppure sei mesi, per Defilippi si sono già aperte le porte del carcere torinese delle Vallette.

È uno dei due detenuti risultati positivi al coronavirus, e così il Tribunale di sorveglianza di Torino gli ha accordato la detenzione domiciliare. Stesso beneficio concesso a Hamza Belghazi, uno dei quattro stranieri condannati in primo grado a 10 anni e 4 mesi per aver seminato il caos a piazza San Carlo la sera del 3 giugno del 2017. La calca scatenata dallo spray al peperoncino usato dalla banda per derubare i presenti causò due morti e 1672 feriti. Anche Belghazi ha lasciato le Vallette dopo essere risultato positivo al tampone. Entrambi trascorreranno la quarantena in appartamenti messi a disposizione dalle rispettive famiglie. Si tratta di "una situazione paradossale" per l'avvocato Elisabetta Aldrovandi, presidente dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime. "Da un lato, il governo mette paletti alla detenzione domiciliare per chi ha commesso reati gravi e, dall'altro, questa misura alternativa al carcere viene estesa anche a chi si è macchiato di delitti efferati. Siamo alla schizofrenia più assoluta", spiega la legale. "Che fine ha fatto lo Stato di diritto? E la certezza della pena?", si domanda.

Sembra che l'emergenza sanitaria abbia sconvolto anche i principi giuridici più elementari.

"La decisione del Tribunale di sorveglianza è stata presa per evitare che il virus si diffonda all'interno del penitenziario, dove non ci sono spazi idonei per tenere in isolamento gli infetti, la tutela della salute è necessaria e va garantita, ma - ragiona la Aldrovandi - la liberazione di criminali pericolosi non può essere la soluzione". "In Italia ci sono 38 strutture penitenziare che non sono mai state utilizzate, perché - propone - il governo non ne apre una o due in via emergenziale?".

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