Coronavirus

L'impatto del virus sui trapianti: "Meno morti tra gli immunodepressi"

In Italia, nel pieno dell'emergenza Covid-19, si è registrato un -40% di trapianti effettuati, ma la percentuale di deceduti è bassissima e per gli immunodepressi ci sono buone speranze di combattere meglio il virus

L'impatto del virus sui trapianti: "Meno morti tra gli immunodepressi"

Visite specialistiche e interventi chirurgici rinviati a data da destinarsi. L’emergenza coronavirus ha mandato in tilt i sistemi sanitari in tutto il mondo e a farne le spese sono stati anche i pazienti in attesa di trapianto.

“Già dai primi casi segnalati a Codogno la percentuale di voli è crollata del 70/80%”, ci confida Giuseppe Servidei, proprietario di una piccola compagnia aerea, addetta anche al trasporto di organi. Nei mesi di lockdown, come testimoniano anche i dati diffusi recentemente dal Centro nazionale trapianti, c’è stato un vistoso calo delle donazioni pari a un -23,5% registrato tra la fine di febbraio e metà aprile. In Italia, infatti, seppur nell’emergenza, i centri trapianto hanno continuato a svolgere il loro lavoro, ma a ritmi decisamente ridotti. “Nell’ultimo mese e mezzo abbiamo fatto solo 4-5 voli…”, fa notare ancora il pilota, visibilmente preoccupato per le ripercussioni che potrebbe avere una seconda ondata di epidemia. La causa principale del blocco dei trapianti soprattutto, nel Nord Italia, è stata il sovraffollamento delle terapie intensive occupate dai malati affetti da coronavirus, ma ora tale problema sembra essere in via di risoluzione.

Il calo dei trapianti: in Italia -40% durante l'emergenza Covid-19

Il dottor Francesco Parisi, dell'Unità operativa di Trapiantologia toracica ed Ipertensione polmonare dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma spiega: “Nei primi cinque mesi del 2020 c’è stato effettivamente un calo significativo dovuto sia alla mancanza di posti letto di rianimazione disponibili sia al fatto che, con il lockdown, sono mancate proprio le cause che danno origine alla donazione, come per esempio gli incidenti stradali”. Questo calo, però, si è sentito meno in ambito pediatrico: “Noi, al Bambin Gesù, abbiamo fatto 3 trapianti a gennaio e 2 ad aprile e ciò significa che, in proiezione, alla fine dell’anno, potremmo arrivare a 15 che è il nostro standard”, sottolinea Parisi. Anche il professor Salvatore Agnes, direttore del centro trapianti fegato del Policlinico Gemelli precisa che, nonostante la diminuzione di donazioni da cadaveri, “il Gemelli, a differenza di altri ospedali del Nord che avevano le rianimazioni sature, è sempre stato operativo dal momento che, da noi, come Covid-hospital è stata attrezzata la Columbus”. L’Italia, infatti, ha retto meglio di altri Paesi. I dati, diffusi il 17 maggio dal ministero della Salute, relativi al periodo più critico dell’emergenza (28 febbraio-10 aprile), evidenziano un calo dell’attività trapiantologica del 39,7% nel nostro Paese. Una cifra sicuramente elevata, ma molto inferiore se confrontata con gli Stati Uniti (-51,1%), con la Spagna (-75,1%) e con la Francia (-90,6%) e la tendenza indica un miglioramento in positivo visto che gli ultimi numeri sono simili alla situazione pre-Covid.

I trapiantati combattono meglio il coronavirus

Ulteriori dati confortanti sono arrivati anche sul fronte dell’impatto del coronavirus sui trapiantati e sui pazienti che sono in attesa di ricevere un organo. Secondo uno studio condotto dal Centro nazionale trapianti e dalla task force dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) sulle infezioni da Covid-19 c’è una percentuale di decessi bassissima. Nel periodo che va dal 21 febbraio al 22 marzo su 173 pazienti trapiantati positivi al coronavirus (pari allo 0,39% dei 44346 totali) ne sono morti 53 che equivale allo 0,12%. Dei pazienti in lista d’attesa i positivi al Covid-19 erano 73 pari allo 0,86% degli 8.638 iscritti in lista e di questi i deceduti sono stati soltanto 8.

“I trapiantati rischiano meno perché sono pazienti educati ad avere una cura di sé igienica, mentale e di comportamento. Sanno che quando c’è un’influenza in giro, e non parlo solo di Covid-19 ma anche di quella stagionale, devono stare isolati ed evitare i luoghi affollati”, dice il professor Franco Citterio, direttore del centro trapianti di rene dell’ospedale Gemelli di Roma, confortato del fatto che dei suoi mille pazienti meno di una decina sono stati colpiti dal coronavirus. Secondo studi recenti, inoltre, sembrerebbe che “la terapia immunosoppressiva protegga dalla tempesta citochimica”, aggiunge Citterio. Un’ipotesi che trova conferma anche nelle parole del suo collega Agnes: “Il trapiantato è un immunosoppresso quindi è un soggetto a rischio, ma proprio la terapia immunosoppressiva contrasterebbe l’auto-immunità e quindi potrebbe proteggere i polmoni da danni maggiori”. Il dottor Parisi, da questo punto di vista è più cauto, ma comunque ottimista: “Nel corso di una conference call sui trapianti di polmone sono stati portati dei dati riguardanti il Nord-Italia che evidenziano come i neo-trapiantati abbiano reagito meglio rispetto a coloro che sono trapiantati da oltre dieci anni.

I primi, infatti, avendo il cortisone in terapia, hanno una possibilità migliore di difendersi dal Covid, mentre i secondi meno perché magari devono ‘combattere’ anche con altre patologie”.

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