"Gino puoi darci una mano? Gli ambulatori sono sguarniti perché tanti di noi sono andati in ospedale a dare una mano ai colleghi in prima linea o perché si sono ammalati. Ma i pazienti hanno bisogno di qualcuno che li ascolti. Puoi farlo tu?". E il dottor Fasoli, 73 anni, ex direttore sanitario del pronto soccorso di Bontornato e medico condotto a Cazzago San Martino (Brescia), non si è fatto attendere: ha subito rimesso il camice bianco ed è tornato in trincea.
Dopo una vita spesa tra i malati di Ebola, in Africa, il medico originario di Sulmona aveva deciso di dare il suo contributo alla task force bresciana contro il coronavirus. L'ho ha fatto per due lunghe settimane, fino a quando il Covid-19 non gli ha strappato l'ultimo respiro. È morto alle 5.45 del 14 marzo all'Istituto clinico San Rocco Ome di Passirano, dove abitava. "Il 6 marzo ha detto di non stare troppo bene, ma niente di grave, solo un mal di testa e una febbricciola", racconta il fratello Giuseppe, 70 anni, ex sottoufficiale dell'Esercito e poi bancario adesso in pensione. "Gli ho telefonato il 10 per chiedergli come stesse - spiega Giuseppe al Corriere della Sera -e lui, con un filo di voce, mi ha risposto così: 'Non riesco a parlare'. E ha riagganciato. Da allora non sono più riuscito a sentirlo. All'indomani, degli amici lo hanno fatto trasferire in ospedale. Dopo che è risultato positivo al tampone, lo hanno intubato. E alle 8 in punto del 14 marzo mi hanno chiamato dall'ospedale per dirmi che era morto".
Gino Fasoli, in men che non si dica, si è aggiunto all'elenco dei 20 medici morti per aver contratto il virus in corsia. "Angeli in camice bianco", come qualcuno li ha definiti, che hanno sfidato il nemico a mani nude arrischiando la loro stessa vita, ogni dannato giorno. Una guerra disarmata quella di rianimatori, infermieri e operatori del 118, talvolta sprovvisti di protezioni sanitarie individuali. "A fine febbraio, mio fratello mi disse che gli avevano dato una mascherina. - continua tra le lacrime il racconto di Giuseppe Fasoli - 'Una al giorno?', gli chiesi. 'No, una e basta'".
Attivo sostenitore di Emergency e di Msf, il medico missionario il Eritrea, fu rapito da alcuni dissedenti somali per curare i malati di un villaggio. Un'esperienza che lo aveva segnato nel profondo ma non al punto di abbandonare la sua professione: si era ripromesso di tornare in Africa una volta in pensione. Ma quel sogno si è infranto al cospetto di un nemico subdolo e invisibile, fagocitato in un secondo che non lascia scampo. "Era un generoso.
- ricorda Giuseppe - Per questo era tornato in ambulatorio, entusiasta di dare una mano ai colleghi in un momento terribile. I pazienti dicono di lui che era sempre in prima lina per gli altri quando c'era da aiutare. Ed è proprio così. Ma io solo che mio fratello Gino non c'è più".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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