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Coronavirus: “Letalità record? Molti non sono stati curati”

Nella sola Lombardia, nella giornata di sabato l 59% dei casi. Con una mortalità superiore al 15%. Ecco perché

Coronavirus: “Letalità record? Molti non sono stati curati”

Superati i 10mila decessi in Italia per coronavirus, il che vuol dire circa un terzo dei casi complessivi in giro per il mondo, più di 32mila morti. Sabato scorso, 28 marzo, la letalità in Lombardia, ha raggiunto oltre il 15%. Con il 59% dei casi totali.

Sono molti di più i morti per coronavirus

Come riportato da Il Giorno, il professor Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, fondazione di ricerca indipendente a Bologna, ha cercato di dare una spiegazione a questo tragico fenomeno. Prima di tutto, Cartabellotta ha voluto fare una distinzione tra la Lombardia e le altre regioni italiane, dove il rapporto tra il numero dei decessi e il totale dei casi confermati scende al 7%. Il dato totale arriva invece al 10,8%. In Lombardia non verrebbero tenuti conto tutti coloro che muoiono nelle loro abitazioni o nelle case di cura. In questi casi non vengono infatti effettuati i tamponi per accertare o meno la positività del deceduto al coronavirus. Il numero delle vittime potrebbe quindi essere sottostimato. Dicasi lo stesso per i contagiati.

Troppi casi, difficile garantire la qualità dell'assistenza

“Secondo le nostre stime, con la parte sommersa sabato eravamo a 231mila casi. Ma c' è chi dice che potrebbero essere 6-7 volte tanto. Comunque, questa valutazione abbassa a 4,3% il tasso di letalità nazionale” ha precisato il professore. Secondo Cartabellotta ci sarebbe stato un sovraccarico del servizio sanitario, in particolare nei reparti di Terapia intensiva. In poche parole, se i nuovi casi sono troppi, è sempre più difficile gestirli, non riuscendo così a garantire la qualità dell’assistenza necessaria. I medici non riescono a curare tutti i malati. Questo perché mancano i letti, i ventilatori, e altri dispositivi necessari a salvare vite umane.

Si deve quindi scegliere, come ha scritto qualche settimana fa la società italiana degli anestesisti. Terribile ma necessario. “Se la terapia intensiva è piena e arriva un ragazzo di 40 anni, il medico è costretto a volte a fare scelte difficili” ha precisato il professore. Un grave errore anche portare i malati di coronavirus negli ospedali, nei quali si sono verificati dei veri e propri focolai, “con operatori sanitari inconsapevoli di essere infetti e ovviamente una quantità enorme di pazienti contagiati”. Non eravamo certo pronti a ciò che si è verificato, basti pensare che il piano pandemico era aggiornato al 2005.

E anche sui tamponi, ha aggiunto che “non esiste la ragionevole certezza che i soggetti valutati negativi o positivi lo siano davvero”.

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