Cronache

"Il coronavirus è una livella, colpisce tutti!"

Silvia Marzoli, 32 anni, è una delle infermiere che volontariamente ha deciso di tornare in corsia per dare il suo contributo nella lotta al Coronavirus. Al Giornale.it ha raccontato i suoi giorni in terapia intensiva a Brescia

Silvia Marzoli, 32 anni, infermiera volontaria in rianimazione a Brescia
Silvia Marzoli, 32 anni, infermiera volontaria in rianimazione a Brescia

''È normale avere paura, sopratutto quando il nemico contro cui si combatte è un virus altamente contagioso. In questo momento però i timori personali non devono fare da deterrente al contributo che si può dare alla collettività. La priorità è combattere contro il nuovo Coronavirus ed avendo lavorato per anni come infermiera in terapia intensiva ho pensato, senza esitazioni, di tornare in reparto per mettere la mia professionalità al servizio degli altri''. Silvia Marzoli ha 32 anni, vive in provincia di Brescia, ha lavorato per 8 anni come infermiera in terapia intensiva in un ospedale del capoluogo lombardo poi, dopo un master in pubblica amministrazione, nel 2018, ha lasciato il lavoro in corsia per intraprendere una nuova carriera all'interno di InterSystems, un'azienda che si occupa di software per il sistema sanitario, per le aziende e le realtà amministrative. Da quando è esplosa l'infezione di COVID 19 Silvia però ha deciso di schierarsi anche lei in quella che oggi è la prima linea italiana: gli ospedali; ed è tornata a lavorare in terapia intensiva, a Brescia, dove sarà impegnata per tutti i prossimi weekend, sino a quando l'emergenza non sarà cessata.

Quando ha maturato la scelta di voler tornare in ospedale?

Appena è esplosa l'epidemia, tre settimane fa circa, mi sono resa conta che non eravamo difronte a una situazione normale e che ci stavamo preparando ad affrontare un qualcosa di nuovo, di enorme. La Cina già ci aveva mostrato quanto potesse essere drammatica questa infezione e ora lo stiamo vivendo sulla nostra pelle. Quindi, giorno dopo giorno, mi sono resa conto della gravità e di come fosse realmente la situazione negli ospedali. A quel punto non ho più avuto dubbi e ho deciso di dare la mia disponibilità per lavorare il fine settimana.

È stata supportata dalle persone a lei vicine nel compiere questa scelta?

Da un lato, da parte di chi mi è vicino, c'è una legittima preoccupazione, ma allo stesso tempo mio padre, i miei amici, i miei colleghi, tutti mi hanno fatto sentire il loro supporto e la loro vicinanza in questa mia scelta. E percepire questa solidarietà e unione mi ha dato ancora più forza e determinazione per tornare in ospedale.

Come è stato il rientro in corsia?

Mi è sembrato di non essere mai andata via. Tutto il personale medico sta lavorando in una maniera straordinaria. Medici, infermieri, Oss, non c'è nessuno che si ferma un secondo e c'è una dedizione al sacrificio e uno spirito di squadra unici. L'aver visto un atteggiamento di questo tipo da parte del personale medico e infermieristico è stata in qualche modo un'iniezione di fiducia. La situazione nel reparto di rianimazione è comunque frenetica, i ritmi sono concitati e il personale deve adattarsi sempre a nuove esigenze: i reparti sono stati modellati per garantire ai pazienti tutta l'assistenza di cui hanno bisogno, ma perchè la macchina non si fermi, nessuno può concedersi pause o permessi.

Come infermiera come vive e affronta la separazione tra pazienti e parenti?

La separazione è un aspetto brutale. Dal momento che le regole sono ferree e le visite non sono consentite io spero che riesca ad essere incentivato sempre più l'utilizzo dei devices come strumento di comunicazione tra paziente e parente. I parenti cerchiamo di tranquillizzarli e rassicurarli. Non mistifichiamo la situazione ma con oggettività spieghiamo come stanno le cose ed evitiamo che quindi si trovino soli in balia di ansia e paure. Talvolta si assiste a scene disperate ma non sono affatto biasimabili. Purtroppo, e non è ancora chiaro a molti perchè se n'è parlato poco a riguardo, questa malattia obbliga a un allontanamento. I parenti, in molti casi, per diversi giorni, non possono rivedere il proprio caro malato. E' bene che la gente lo sappia così da tutelarsi maggiormente.

Voi per tutta Italia, oggi, siete considerati degli eroi. Ma lei che sta vivendo da dentro questa situazione cosa vorrebbe dire agli italiani che da fuori l'applaudono?

Di non uscire di casa. Semplicemente questo. Non uscite. Vedo ancora troppa gente che va in giro, troppa. Io non credo che in questo momento sia così necessario trovare un motivo per andare fuori. Ricordiamoci sempre che non bisogna sottovalutare la questione. Vorrei che tutti in Italia non uscissero di casa. Solo se si rispettano le regole e si limitano il più possibile le uscite si può mettere fine a tutto questo e non si vanifica così lo sforzo che noi medici e infermieri stiamo facendo

Arrivano anche giovani immagino, quali sono le loro reazioni?

Sono spaventati, come tutti. Anche se si sono viste scene di giovani che facevano gli aperitivi o si sono ascoltate interviste a giovani esuberanti che non dimostravano molta attenzione e interesse per la questione, io invece posso garantire che ci sono molti giovani attenti e inoltre quando i giovani vengono in ospedale, nessuno di loro vuol fare il di più, e sono tutti estremamente preoccupati. Questo virus è una livella e non guarda in faccia a nessuno.

Qual è il particolare, la situazione, l'episodio che l'ha colpita maggiormente da quando è tornata a lavorare in ospedale?

Più di tutto c' è una domanda che continua a echeggiarmi in testa: ''quando finirà?''.

E' il non sapere dare una risposta a questo interrogativo la cosa che mi colpisce di più.

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