Coronavirus

Coronavirus, la rabbia dei medici: "Prima eroi, ora sotto accusa"

Da eroi in prima linea a ''colpevoli'', i medici del San Matteo di Pavia scrivono una lettera di sfogo: "Ci arrivano segnalazioni in Procura"

Coronavirus, la rabbia dei medici: "Prima eroi, ora sotto accusa"

"Prima eroi, ora sott'accusa". Rabbia, dispiacere e amarezza. Sono i sentimenti che trapelano da una lettera redatta da 19 medici del Pronto Soccorso del San Matteo di Pavia, travolti da un'onda di ingratitudine che grida giustizia per le innumerevoli vittime del Covid.

Da eroi dei tempi moderni a ''carnefici'' il passo è stato breve. Anzi, brevissimo. Così, quelli che fino a qualche settimana fa erano stati definiti ''angeli in corsia'', acclamati dai media e sui social, ora sono finiti sul banco degli imputati. "Abbiamo sperimentato la paura, la tristezza, la desolazione, l'impontenza, siamo stati chiamati 'eroi'... Oggi riceviamo richiami, segnalazioni, esposti in Procura... Se quello che abbiamo vissuto ci è sembrato un incubo, questo epilogo lo è ancora di più", si legge nello scritto affidato alle colonne de La Provincia Pavese.

La lettera

"Un giorno il virus è arrivato. Improvviso. Inatteso. Si è infilato nelle nostre vite, nelle nostre relazioni, si è nutrito dell'aria dei nostri polmoni e delle nostre paure. Colpiva, come la biglia rossa impazzita di un flipper rotto e lo faceva senza criterio, come una maledizione da cui ciascuno sperava di scampare. E mentre tutti avevamo paura del mostro che avanzava e avrebbe potuto colpire ciascuno di noi e i nostri affetti con conseguenze che ignoravamo, ecco che noi medici di Pronto Soccorso ci siamo trovati, improvvisamente, a dover indossare doppie vesti. Quella di esseri umani (spaventati, come tutti) e quella di professionisti "dedicati all'umano" a cui veniva chiesto di essere presenti, di scendere in prima linea. Specializzandi compresi. E così abbiamo fatto e ci siamo trovati improvvisamente immersi in scenari che non avremmo creduto possibili. Ci siamo trovati ad inventare una nuova medicina, a cercare continue soluzioni per gestire l'iperafflusso dei malati, a fare i conti con l'insufficienza di risorse nonostante i continui sforzi del sistema organizzativo, risorse che sembravano non bastare mai, tante erano le richieste. Abbiamo sperimentato la paura, la tristezza, la desolazione, l'impotenza in quello che ci appariva un incubo. Siamo stati chiamati eroi, anche se non ci siamo mai sentiti tali, perché gli eroi, di solito, scoprono di avere dei superpoteri; noi, invece, no. Solo tante fragilità: la paura di essere inadeguati, di non farcela, di crollare sotto il peso dei dispositivi di protezione talora asfissianti, il timore di infettarci e di infettare i nostri cari. C'è stato chi, tra di noi, si è dovuto isolare, chi si è ammalato, chi, nonostante la stanchezza, è rimasto in piedi ad assistere i malati. È stato difficile e molto. Abbiamo commesso errori, certo, forse non siamo riusciti a garantire il meglio ma abbiamo fatto del nostro meglio. Abbiamo visto persone morire senza la presenza dei loro cari accanto, abbiamo cercato di curare per come meglio potevamo, di informare i familiari nel flusso caotico e inarrestabile dei continui accessi, di consolare e di accompagnare con umanità e dignità quando non è stato possibile salvare. Oggi riceviamo richiami, segnalazioni, esposti in procura; veniamo chiamati a difenderci, a deporre testimonianze, anche solo come persone informate dei fatti. Se quello che abbiamo vissuto ci è sembrato un incubo, questo epilogo lo è ancora di più. È umiliante, demotivante, frustrante. Potremmo scioperare, creare disservizi, portare la nostra rabbia e delusione sul posto di lavoro, ma questo sarebbe contro la nostra etica che ci invita, ancora una volta, ad esserci ma con professionalità e umanità. Così continueremo a restare ai nostri posti, a garantire la gestione delle urgenze, a fare quello che facciamo ogni giorno con la massima professionalità e nel rispetto dei malati, sperando di ricevere, in cambio, il medesimo rispetto.
I medici del Pronto Soccorso del San Matteo"

Da ''eroi'' a ''colpevoli"

Il Pronto soccorso di Pavia era in prima linea nella lotta al virus, con punte di 300 accessi al giorno nel periodo nero, quando l’ospedale di Lodi veniva sopraffatto dall’emergenza e Cremona aveva esaurito i posti letto. I medici lavoravano senza sosta, bardati in tute isolanti per 24 ore al giorno, lontani dai propri cari per settimane. Ma delle loro fatiche, ora che la tempesta si è placata, non resta altro che una pila di segnalazioni in Procura. "ll cambio di atteggiamento si vede in tivù, si sente, si percepisce nelle piazze — spiega il direttore del Pronto Soccorso al Corriere della Sera —. Sembra che il problema sia solo quello di capire di chi è stata la colpa di tanto dolore. Ora, gli esposti non riguardano il nostro gruppo di lavoro, ma è comunque avvilente, soprattutto se si pensa alle fatiche fatte, all’energia profusa e anche a quel clima di solidarietà, di umanità che si era creato".

Ripartire dal rispetto

Di punto in bianco, i medici del Pronto Soccorso del San Matteo sono stati fagocitati in un vortice di rabbia e disperazionie innescato dai familiari affranti delle tante vittime. "Oggi si cerca solo di individuare i responsabili — continua il professor Perlini —. Io invece vorrei ripartire da quel rispetto spontaneo che era nato fra tutti, dalla solidarietà dei giorni bui. Abbiamo sentito molto il sostegno di chi era fuori, è stato di grande aiuto per tutti noi, medici, infermieri, specializzandi. Non dimentichiamoci di questo grande insegnamento che ci è arrivato. Ci sono state molte tragedie, purtroppo, posso capire la rabbia delle famiglie ma non cerchiamo a tutti i costi un colpevole". Nei giorni successivi alla bufera, Perlini racconta di aver incontrato i familiari di un paziente: "Ne ho incontrati alcuni proprio in questi giorni, altri erano venuti in precedenza a recuperare effetti e documenti che si erano persi nel caos — conclude il professore —. Ho visto una moglie e due figli. Tre storie diverse, tre tragedie. Hanno voluto sapere cos’era successo cercando di ricostruire il percorso del ricovero fino all’ultimo giorno. Spero abbiano capito che c’è stata dell’umanità in quel percorso.

Ripartiamo da qui".

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