
"Dobbiamo trovare 100 posti letto per i malati di Covid-19 che non hanno ancora bisogno di cure intensive, così liberiamo letti per quelli più gravi". È l'allarme lanciato da Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche 'Mario Negri' ed ex direttore del reparto di Medicina all'ospedale Papa Giova XXVIII, a fronte del numero crescente di contagi nella provincia di Bergamo, nuovo epicentro del coronavirus in Lombardia.
"Mi sento come un soldato che perde i suoi compagni - confida Remuzzi al Corriere della Sera - Un mio amico dottore ricoverato in pneumologia in situazione critica, altri due intubati. Quando vedi queste cose con le persone che sono cresciute con te in questi anni, che cadno mentre il nemico avanza, ti viene da piangere, non ce la fai. Mentre parliamo vedo ambulanze che continuano a passare, e su ogni ambulanza c'è un essere umano che non respira. Ecco come sto".
Cresce con ritmo incalzante la stima dei contagiati nella Bergamasca raggiungendo quota 2.136 nel giro di pochi giorni. "Sta succendo qualcosa di enorme - dice l'esperto - Due settimane fa, erano 3 morti. Sette giorni dopo, 33. Oggi, 58. Avranno anche avuto altre malattie, ma senza virus sarebbero ancora qui. E le polmoniti di questa settimana sono più gravi di quelle della settimana scorsa".
Difficile, se non addirittura impossibile, spiegare il numero crescente di vittime: 142 in tutta la provincia. "Tra i tanti coronavirus che ci troviamo ad affrontare, questo è mutato in fretta. Fatichiamo a trovare una risposta immune. - rivela Remuzzi - Fatichiamo a curare". E a chi minimizza l'entità dell'epidemia, l'esperto risponde cosi: "Questa non è una malattia benigna. Non è una influenza. Con questa malattia si muore. Non solo anziani, ma anche giovani. E ha colpito molte più persone di quante siamo in grado di trattare".
Già lo scorso dicembre, numerosi medici di base avevano registrato la diffusione repentina di polmoniti anomale. "Come tutti sanno, - continua il professore -abbiamo due zone colpite, Nembro e Alzano. Già a dicembre i medici di base si sono trovati di fronte a polmoniti mai viste. Ma hanno pensato che fosse una evoluzione del ceppo dell'influenza. Difficile capire che sei di fronte a qualcosa di nuovo se non l'hai mai visto prima. Anche noi studiosi eravamo convinti che il virus non fosse così aggressivo".
Ricostruire l'origine del contagio nella provincia di Bergamo, a detta di Remuzzi, non spiega la propagazione a macchia d'olio della epidemia. "Alzano Lombardo è una piccola capitale industriale - dice - Contatti di ogni tipo. Vai e vieni da ogni parte del mondo. Nembro è una delle città più vive e frequentate della zona. Le potrei raccontare la storia del dottore tedesco che lavora a Shanghai e a Monaco che sembrava fosse sano, invece non lo era, e lavorava per una compagnia con filiale anche a Codogno. Non serve a niente. Non ora, almeno. Da fine ottobre, quando il virus è comparso anche in Europa, fino a gennaio, quando ce ne siamo accorti, c'è stato uno scambio continuo di milioni di persone. Con la Cina, con la Germania, con tutto il mondo". Insomma, del tutto inutile fare dietrologia in un momento di inequivocabile emergenza. "Bisognava fare una zona rossa, subito, come a Codogno", recrimina l'esperto aggiungendo che "l'assenza di una zona rossa ha peggiorato la situazione".
Le testimonianze che giungono dagli ospedali bergamaschi raccontano un stato di emergenza assoluta: "Ormai sono tutte simili. - contina il farmacologo - La gente muore e anche chi lavora negli ospedali si ammala. Non c'è posto. Questo virus ci sta facendo capire cose che in tempi normali è difficile capire".
A fronte del numero crescente di degenze, specie nei reparti di Rianimazione e sub-intensivi, è aumentata la richiesta del personale medico da impiegare. "Nelle ultime due settimane abbiamo formato 1.500 infermieri e medici. Abbiamo un bisogno disperato di personale. Abbiamo oculisti e dermatologi che stanno imparando l'assistenza respiratoria". In tempi normali, i neolaurati "avrebbero dovuto entrare subito in corsia. Il mestiere lo imparano meglio in ospedale. Ma nessuno mi ha mai voluto asoltare. Se lo avessero fatto, ora avremmo un esercito di 'riservisti' a dir poco prezioso".
È ormai una indiscrezione acclarata che, se gli ospedali dovessero
collassare, i medici saranno costretti a fare scelte drastiche, estreme. Remuzzi non ha dubbi al riguardo: "Se dovesse capitare a me, direi a chi mi assiste di intubare il ragazzo più giovane. Io ho settant'anni".