Coronavirus

Coronavirus, il sociologo: "In futuro ci abbracceremo meno di prima"

Francesco Billari, sociologo e professore all'Università Bocconi di Milano, fa previsioni sugli effetti futuri del distanziamento sociale: "Cambieranno le abitudini degli italiani"

Coronavirus, il sociologo: "In futuro ci abbracceremo meno di prima"

"In futuro ci abbracceremo meno di prima". È la previsione di Francesco Billari, sociologo e docente di demografia all'Università Bocconi di Milano, circa le ripercussioni che il distanziamento sociale avrà sul comportamento degli italiani quando il coronavirus sarà solo un ricordo lontano. "Le interazioni sociali degli italiani, un popolo peculiare per la sua fisicità, tenderanno a somigliare di più a quelle dei paesi del Nord Europa", afferma l'esperto.

Una cosa è certa: prima o poi, l'epidemia finirà. Sebbene il trend epidemico non dia, ad oggi, segnali significativi di miglioramento, arriverà il giorno in cui la drammatica conta dei contagi si esaurirà. E allora, meglio proiettarsi al futuro cercando di ipotizzare scenari possibili di mutamento e trasformazione che seguiranno inevitabilmente a questa vicenda. Nulla per cui valga la pena allarmarsi. "Ci saranno, almeno un po', meno contatti", assicura il docente.

Nel 2008, spiega il professor Billari in un'intervista all' Adnkronos, è stata condotta un'indagine su diversi Paesi in merito ai contatti sociali rilevanti, dall'abbraccio alla stretta di mano, tali da poter diffondere un'epidemia. Una delle peculiarità dell'Italia, furono i risultati: eravamo il popolo con il livello più alto di contatti, superiori ai 17 giornalieri. Francesi e tedeschi, ad esempio, ne avevano meno di dieci. "L'Italia era la Nazione anche con i maggiori contatti tra generazioni diverse, ovvero tra chi ha 65 anni e più e i più giovani: 7 contatti al giorno per l'Italia, contro i 2,8 di Germania, i 4 della Francia". Presumibilmente, "si tornerà ad avere più contatti sociali di adesso, però questo sarà limitato: non diventeremo come i tedeschi, ma immagino un effetto che ci spinga verso una via di mezzo".

L'avanzamento del coronavirus ha ingenerato un incremento relativo all'utilizzo dei dispositivi di comunicazione digitale. Smartphone, pc e tablet sono diventati strumenti di interazione indispensabili in regime di quarantena. "E' uno shock dei rapporti, destinato a protrarsi, - continua il sociologo - con un aumento delle relazioni digitali, soprattutto tra gli anziani e i più giovani, che magari hanno scoperto proprio in questi giorni come usufruirne".

Il distanziamento sociale potrebbe modificare in modo notevole le modalità di approccio al business e, più in generale, al lavoro virando verso una digitalizzazione massiccia. "E' ancora presto per immaginare cosa accadrà, ma mi aspetto un aumento delle attività che si possono fare a casa".

La vicenda del coronavirus ha evidenziato l'importanza di un sistema sanitario efficiente e la necessità di formare professionisti in grado di far fronte ad una eventuale emergenza sanitaria. "Si parla molto - osserva Billari - della medicina d'urgenza: è importante, ma altrettanto lo è lo studio delle misure socio-economico, come il 'lockdown'. Quando si affrontano queste epidemie ci vogliono conoscenze mediche, epidemiologiche e anche sociali: i team che lavorano su questi temi sono sempre composti e interdisciplinari. In futuro, quindi, "sicuramente sì, serviranno più epidemiologi, che dovranno lavorare in team con medici, statistici e sociologi. La mia impressione è che si cerchi troppo un 'uomo solo al comando', cosa che per fare delle scelte potrebbe andare bene ma in termini di scienza no, servono squadre ed è così è in tutti Paesi".

Infine, conclude ìl sociologo, è importante che si inizi a prestare attenzione "oltre che alla salute fisica anche alla salute mentale". Ovvero, "quando si valutano misure da adottare, soprattutto se sostenute sul lungo periodo, bisogna considerarne gli effetti sulla mente delle persone. Allo stesso modo, i 'decisori' devono guardare "alla diseguaglianza e alla stratificazione sociale". Stare a casa, sottolinea Billari, "significa qualcosa di diverso per ciascun cittadino: ci sono situazioni abitative di tipo diverse, persone sole o in case sovraffollate.

Nella discussione politica e sui media stiamo assistendo a una concezione molto omogenea dello stare a casa".

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