L’ispettrice Eura Giannico, che ha condotto l’operazione, ha raccontato come è stato incastrato l’orco che abusava della figlia di due anni. Appena visti i video incriminati in una chat che era monitorata, Giannico, 51 anni, si è resa subito conto che si doveva agire il più velocemente possibile. Come riportato da La Stampa, ha raccontato che le violenze erano tremende e che si doveva salvare una bambina piccolissima. È stata l’ispettrice, insieme a un altro collega, lo scorso lunedì a indirizzare la Squadra informatica per la tutela minori del compartimento della Lombardia al casolare situato nella periferia romana in cui viveva il padre 33enne che è stato accusato di abusare della figlia, una bimba di neanche due anni. “Una corsa contro il tempo iniziata la mattina di venerdì”, ha raccontato la 51enne. Intanto le indagini proseguono, con altri colleghi che cercano ulteriori prove sul web.
Gli indizi trovati
Purtroppo la Giannico ha ammesso che sono ormai abituati a vedere certe cose. Quotidianamente il loro lavoro è quello di monitorare la rete, imbattendosi in chat e siti internet zeppi di filmati pedopornografici. In rari casi però, come ha spiegato lei stessa, il materiale, come nel caso specifico, è autoprodotto. Gli ispettori lo hanno capito da vari indizi: "C'erano una serie di elementi che lo dimostravano. Le parole dell'uomo, il modo in cui si esaltava nel corso della registrazione, una presa elettrica che compariva per un istante, e altre piccole cose che non si possono rivelare per non compromettere gli accertamenti”. Anche l’età della vittima è balzata subito agli occhi degli agenti, grazie alla presenza nel video di un pannolino e di alcune pieghe sulle gambe, tipiche dei bambini più piccoli. “Non ci siamo fermati un istante, neanche la notte. La vita privata e il sonno davanti a questi casi passano in secondo piano. Tutta la squadra si è messa a disposizione, ha dato una mano: la priorità era allontanare al più presto la bimba da quell'uomo”, ha ricordato.
Un lavoro non facile
Trovare l’orco è stato un lavoro non da poco. Per prima cosa hanno elaborato un sistema per riuscire a superare l'anonimato del nickname di fantasia. Individuare l’ip del 33enne è stato complicato dal fatto che la rete telefonica collegata a quell'ip non era intestata a lui. Domenica sera, quando sono arrivati a Roma con un decreto di perquisizione, non c’era ancora un indirizzo preciso. Sono riusciti a capire dove abitava il 33enne grazie ad appostamenti, pedinamenti, e anche ricerche sulle targhe delle auto parcheggiate nel quartiere. Alle prime luci dell’alba di lunedì la squadra è entrata in azione. “In casa c'erano lui, la compagna e la bimba. La perquisizione è andata avanti fino alle tre e mezza di notte”.
L’ispettrice ha raccontato che l’uomo ha collaborato, ma che era terrorizzato all’idea di poter perdere la compagna, la famiglia. Mentre sulla bambina non ha detto nulla.
Davanti a quella situazione “non è facile perché siamo dei professionisti che cercano sempre di mantenere tutta la distanza necessaria. Ma siamo anche persone, genitori, zii...”. La soddisfazione più grande per questi professionisti è quella di sapere di aver salvato una vita, in questo caso ancora all’inizio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.