La Chiesa cattolica non ha una visione unanime sull'indipendenza della Catalogna. Se Papa Francesco, infatti, si è indirettamente dichiarato dalla parte della "legalità costituzionale", la situazione sul territorio catalano è lungi dal rappresentare la posizione che il Vaticano ha espresso. Trecento, nello specifico, sarebbero i sacerdoti catalani schieratisi a favore del referendum, quindi contro le decisioni della Corte Costituzionale spagnola. Una divisione resa ancor più evidente dall'iniziativa presa dal vescovo di Tarragona, che ha scritto una lettera ai sacerdoti catalani chiedendogli di non prendere posizione e di favorire la mediazione. La Chiesa, insomma, deve scegliere se divenire un ponte all'interno di un processo di pacificazione o se assecondare gli animi di chi sta cercando di dar vita ad una nuova nazione.
Lo scorso 22 settembre, però, 282 preti e 21 diaconi hanno scritto, a loro volta, una lettera nella quale hanno apertamente criticato il governo spagnolo per non aver concordato "le condizioni" relative al referendum. Gli stessi, nel testo, hanno sottolineato che considerano "legittima e necessaria la realizzazione di questo referendum", riferendosi alla consultazione dello scorso primo ottobre e hanno invitato, si legge qui, "i cattolici e tutti i cittadini della Catalogna a riflettere sull’importanza degli attuali avvenimenti e a votare secondo coscienza nell’esercizio del diritto fondamentale che ogni persona ha di esprimere liberamente le sue convinzioni". Ma anche tra gli abati e i vescovi ci sono posizioni favorevoli o non ostili all'indipendentismo catalano: Xavier Novell Gomá, vescovo di Solsona, è un aperto sostenitore della bontà della secessione; Josep Maria Soler, abate di Montserrat e Octavi Vilà, abate di Poblet, hanno scritto un comunicato durante le ore più concitate di questa vicenda, chiedendo, tra le altre cose, che venissero trovate delle "soluzioni".
Il governo centrale di Madrid ha individuato nel dialogo con Papa Bergoglio e con la Chiesa cattolica una delle strade percorribili per la difesa dell'unità nazionale. Un discorso inverso, invece, vale per il governo catalano, che avrebbe nel già citato Josep Maria Soler e nel cardinale arcivescovo di Barcellona Juan José Omella, che i commentatori ritengono molto vicino a Papa Francesco, due interlocutori in grado di poter mediare con l'esecutivo di Rajoy al fine della secessione. L'ultima lettera in ordine di tempo, poi, quella di Jaume Pujol, vescovo di Tarragona, chiarifica come la Chiesa non abbia una posizione condivisa da tutti al proprio interno. Scrive, infatti, Pujol: "Non prendiamo pubblicamente posizioni che possono essere causa di contrapposizione". E ancora: "Non dimentichiamo che siamo pastori di tutti i fedeli. Le nostre scelte personali, totalmente legittime se prese consapevolmente, non dovrebbero emergere in questo momento. Cerchiamo di essere elementi di unione e non di divisione. Non coinvolgiamo la Chiesa, che è madre di tutti, né usiamo luoghi sacri per questioni politiche. Non mi piace vietare ciò che viene fatto con coscienza e ben pensato e nel rispetto della legge della Chiesa, ma vi chiedo di essere prudenti e di consultarvi prima di prendere decisioni che possono influenzare la visione che le persone hanno della Chiesa". "Non ne siamo proprietari, ma amministratori", chiosa il vescovo, che, nell'evidenziare la necessità di assumere un atteggiamento prudente, sembra ribadire l'esistenza di una forte divisione sul tema tra gli ecclesiastici catalani.
Papa Francesco, sarà bene sottolineare, non ha personalmente parlato della questione. La contrarietà all'indipendenza catalana è stata espressa dall'ambasciatore della Santa Sede in Spagna, Gerardo Bugallo, e dal cardinale Parolin. Del resto, notano alcuni, una presa di posizione diretta del Papa rispetto ad una situazione che vede la Chiesa profondamente divisa nel territorio in cui il tutto si svolge, potrebbe non risultare utile alla causa del "dialogo" tra le parti. Fatto sta che il referendum catalano ha fatto emergere un'inaspettata pluralità di visioni.
Il Vaticano, probabilmente pressato tanto da Puidgemont quanto dal governo centrale di Madrid, potrebbe anche scegliere di assumere un atteggiamento elastico, al fine, anche, di non evidenziare il frazionamento delle posizioni.
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