Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, è stato fulminato sulla via del Salone del Mobile in corso a Milano da Luigi Di Maio: «È uno di noi», ha detto dopo averlo visto all'opera tra gli stand dell'eccellenza del design italiano. Subito abbiamo pensato che Boccia si riferisse alla loro comune origine campana ma l'illusione è durata poco. Il presidente voleva proprio dire che uno che non ha mai lavorato un giorno in vita sua e la cui azienda di famiglia è finita a gambe all'aria tra abusi e dipendenti non pagati è l'uomo giusto per risolvere i problemi del mondo del lavoro e di quello imprenditoriale.
Se Boccia avesse letto le tesi economiche dei Cinquestelle deve ringraziare il cielo di essere dove è, perché Confindustria i grillini se solo potessero la chiuderebbero domani mattina, non solo in quanto lobby al servizio dell'impero del male ma anche in quanto sostenitrice dell'impresa privata e del suo sviluppo. Qualcuno spieghi a Boccia che la ricetta del Di Maio «uno di noi» prevede più Stato, più tasse, più assistenzialismo, più manette per chi fa impresa, meno opere, meno sviluppo e una sana decrescita felice.
Tutte cose che a occhio fanno a pugni con chi vorrebbe fare impresa.
La propensione di Confindustria a preferire i nemici agli amici in verità non è una novità. In passato fu l'amore per la Cgil a partorire la sciagurata stagione del consociativismo che portò a ingessare il mondo dell'impresa attorno a riti e costi che non hanno pari in Paesi occidentali. Poi venne la stagione dell'ostracismo, se non dell'ostilità, nei confronti dei governi di centrodestra che non saranno stati i migliori del mondo ma certo non erano insensibili alle necessità dell'impresa e pure a quelle (anche private) degli imprenditori. Ora è il turno del «Di Maio uno di noi» che fa a pugni non solo con la logica ma pure con la realtà dei fatti che si possono riassumere in un nome: recessione. Se così deve essere il mio modesto, non richiesto e inutile consiglio è: chiudiamo Confindustria per manifesta inutilità (siamo in buona compagnia, Marchionne non a caso stracciò la tessera e portò via la nuova Fiat).
O forse basterebbe dire a Boccia di lasciar perdere e tornare a occuparsi della sua tipografia, perché questo lavoro non fa per lui. A Milano con Di Maio si è comportato come un bambino che vede Ronaldo e cerca selfie e autografo. Vogliamo una classe dirigente, non parvenu.E quella di Boccia «non è una di noi».
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