Così i moderati hanno soffiato il riformismo alla sinistra

Un nuovo partito si può fare se si danno due condizioni: la prima è quella di non costruirlo con una addizione. La seconda condizione è che sul banco dei progetti non manchi proprio ciò che ancora nessuno vede, ma che porterebbe al successo.

Così i moderati hanno soffiato il riformismo alla sinistra

Un nuovo partito si può fare se si danno due condizioni: la prima è quella (già nota per esperienza del passato, sia a destra che a sinistra) di non costruirlo con una addizione, come se si usasse una scatola di Lego: un pezzo di questo, più un pezzo di quello. Sappiamo già che non funziona, perché ne verrebbe fuori nel migliore dei casi un burattino senz'anima come Pinocchio, prima che intervenisse la Fata Turchina.

La seconda condizione è che sul banco dei progetti, dei sogni e delle visioni, non manchi proprio ciò che ancora nessuno vede, ma che porterebbe al successo. Quando Steve Jobs inventò l'iPad per la Apple, mise sul mercato (anche dei sogni) un aggeggio di cui nessuno immaginava l'esistenza e dunque desiderava. Quell'oggetto ha avuto un successo planetario alimentando una necessità di cui nessuno era consapevole. È una metafora se volete, ma calza a pennello. In politica non ci si può presentare con nomi nuovi e abiti vecchi.

Quando Berlusconi mise al mondo Forza Italia con una operazione rocambolesca, fu deriso dalle sprezzanti sinistre per aver creato lo ricorderete «un partito di plastica» che è ancora lì dopo quasi trent'anni perché offriva una nuova casa ai profughi dei partiti liberi e proponeva un sogno. Quell'Italia si è realizzata solo in parte perché il sistema delle alleanze non funzionò fra traumi, tradimenti e l'attacco feroce di una parte della magistratura alleata, come ha ben spiegato Palamara, ai vertici dello Stato e agli umori dell'Europa d'allora.

Oggi la situazione di una possibile alleanza è straordinariamente buona. Si dà infatti una circostanza disgraziata per il Paese ma fortunata per chi saprà trarne vantaggio: la sinistra si sta suicidando. Non è un bene, perché una democrazia ha bisogno sia di una sinistra che di una destra, entrambe democratiche e fedeli alle regole. Ma la sinistra, dopo il crollo dell'impero sovietico non ha fatto che contorcersi alla ricerca di una strada da percorrere, e dopo aver battuto quella giudiziaria da cui era uscita stranamente indenne ai tempi di Tangentopoli, ha ceduto alle tentazioni e alle scorciatoie del populismo arrabbiato, che somiglia al movimento dell'Uomo qualunque degli anni Cinquanta e al peronismo parafascista argentino, più che alla tradizione intellettuale di cui si vantava il vecchio Partito comunista.

L'attuale segretario Enrico Letta, persona colta e dal portamento distinto che lasciava ben sperare, non ha saputo produrre altro che idee nate vecchie: lo ius soli, il diritto di voto (di scambio) a un elettorato adolescente di emigrati, l'idea della paghetta generazionale, sorella del reddito di cittadinanza che sta sottraendo forza lavoro dove ci sarebbe lavoro e che nutre, più che i veri poveri, un'area grigia contigua a quella mafiosa. E poi, ovviamente, la solita mania di tassare, espropriare ricchezza per elargirla non ai produttori di ricchezza (lavoratori giovani per primi), ma a consumatori passivi che se la sgranocchiano sul divano guardando la partita.

Il governo di Mario Draghi, fortemente voluto sia dall'Europa che da Berlusconi, ha permesso di far decantare le acque più torbide e mettere in luce lo stato delle cose. La politica di governo sta conoscendo un momento di grande successo interno e internazionale e questo è già un fattore propulsivo e di merito della destra che sostiene Draghi con convinzione, mentre la sinistra lo fa in modo recalcitrante e furbastro, cercando gli spiragli da cui far passare qualche ridicola demagogia, brutalmente bocciata dal premier. Ecco, dunque, la grande occasione che solo oggi si presenta: prendere atto della rinuncia della sinistra ad offrire riformismo e modernità, portandole via quella bandiera. Ciò sarebbe molto salutare alla sinistra stessa e dunque alla democrazia. La destra - questa è un'altra differenza importante si rivolge alle persone e non ai cittadini. La sinistra preferisce parlare di «cittadini» e non di persone perché è inchiodata al mito di Robespierre e della ghigliottina. La destra parla alle persone perché si rivolge ad esseri umani reali e fragili, ciascuno unico e irripetibile e bisognoso di essere protetto come la più piccola e perseguitata minoranza etnica. Non che sia facile.

È anzi difficilissimo e un programma del genere richiede visione, coraggio, duttilità, generosità, cultura europea, patriottismo e desiderio di ricondurre l'identità italiana alla sua fastosa unicità che la rende, fra mille difetti, desiderata e famosa nel mondo. Mario Draghi oggi la rappresenta molto bene anche con quel suo modo di parlare che simula con appena un tocco di felice snobismo, un modo di fare deciso ma non decisionista.

Questa è la situazione ottimale per aprire i laboratori e convocare le migliori forze del Paese ad animare un partito che rappresenti l'Italia e gli italiani nel modo più gioioso offrendo dignità, cultura e quella quota di minima felicità cui tutti gli esseri umani aspirano pur non avendone diritto, come il nostro Gaetano Filangieri contaminò Benjamin Franklin, il quale aggiunse a Philadelphia il diritto a desiderare la felicità, tra quelli costituzionali della nascente nazione americana. Noi quel diritto ce lo siamo conquistato da un pezzo ed è tempo di renderlo godibile a tutti.

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