"Dopo sei mesi torna l'incubo". La verità sullo scudo anti-virus

Uno studio olandese su 10 pazienti di sesso maschile ha messo in luce come, dopo l'infezione con i 4 coronavirus più comuni, la maggior parte di essi ha perso il 50% degli anticorpi dopo 6 mesi ed il 75% entro un anno. Ecco com'è andata

"Dopo sei mesi torna l'incubo". La verità sullo scudo anti-virus

Se ormai è ampiamente confermato che chiunque entri a contatto con il Coronavirus sviluppa gli anticorpi (ed è la buona notizia), molto meno si sa sulla durata degli stessi. Secondo uno studio dell'Universtità di Amsterdam, uno dei più recenti al mondo ed in fase di pre-pubblicazione, l'immunità al Sars-CoV-2 potrebbe durare solamente sei mesi (ed è la notizia meno buona). È per questo che gli olandesi mettono in dubbio l'utilità dell'introduzione dei cosiddetti "passaporti di immunità", non ci sarebbero i presupposti per affermare con certezza che una persona guarita dal Covid-19 non possa esserne reinfettata.

Lo studio olandese

"Nell'attuale pandemia di Sars-CoV-2, una domanda chiave irrisolta è la qualità e la durata dell'immunità acquisita negli individui guariti" si legge nella prefazione allo studio, interrogativo fondamentale per capire se il virus potrà fare meno paura o no. "Sembrano tutti indurre un'immunità di breve durata con una rapida perdita di anticorpi" , hanno affermato i ricercatori, basandosi sullo studio di 10 persone per un periodo di 35 anni, dal 1985 al 2020 con un totale di 2473 tra osservazioni e monitoraggi a persona in ogni mese dell'anno, per determinare il livello di anticorpi in seguito all'infezione da uno dei quattro coronavirus stagionali, gli Alphacoronavirus ed i Betacoronavirus, ed il periodo di tempo che è trascorso tra un'infezione ed un'altra dello stesso virus. Entrambe le analisi hanno riscontrato una durata definita "allarmante" per l'immunità protettiva nei confronti dei coronavirus, riscontrando nuove e frequenti infezioni a distanza di 12 mesi dalla prima ed una sostanziale riduzione dei livelli degli anticorpi appena sei mesi dopo aver contratto i virus.

Molte incertezze. I ricercatori sottolineano come non sia ancora chiaro quanto possa durare l'immunità protettiva derivata dal Covid-19. Secondo lo studio, le reinfezioni saranno probabilmente dettate da due variabili: "l'esposizione al virus e la qualità di immunità sostenuta", scrivono i ricercatori. In parole povere, si valuta quanto tempo un paziente è stato sotto attacco del Covid (se l'infezione è passata in poco tempo o se si è guariti dopo molte settimane) e quanti anticorpi ha prodotto l'organismo. La risposta anticorpale non è uguale per tutti: c'è chi ne produce di più e chi meno. Chiaramente, chi ha più anticorpi potrebbe avere una "tenuta" più estesa nel tempo, ma non infinita.

I coronavirus stagionali. Esistono quattro specie di coronavirus stagionali, tutti associati ad infezioni lungo le vie respiratorie ma prevalentemente di lieve entità. Oltre a provocare i comuni raffreddori, i quattro virus sono biologicamente diversi: due di loro appartengono al genere Alphacoronavirus, gli altri due ai Betacoronavirus. Questi virus usano molecole recettoriali caratteristiche per entrare in una cellula "bersaglio", ma non tutti entrano nello stesso tipo di cellula epiteliale nei polmoni. Per questa loro variabilità, i coronavirus stagionali sono il gruppo virale più rappresentativo da cui ricavare le caratteristiche generali, i punti chiave sono l'immunità protettiva e la suscettibilità alla reinfezione. Dal momento che la maggior parte delle persone, spiegano i ricercatori, sperimenta la prima infezione da coronavirus stagionale durante la prima infanzia (4-6 anni), da quel momento possono essere studiate le reinfezioni che accadono negli anni successivi. Lo scopo dello studio è di mettere in luce il periodo di tempo che passa tra le reinfezioni dei coronavirus e la dinamica degli anticorpi, come questi diminuiscano dopo l'infezione. Questi parametri sono stati valutati misurando la risposta immunitaria ad ogni singolo coronavirus stagionale per un periodo prolungato.

Frequenza di infezioni e reinfezioni. Lo studio è stato condotto su 10 maschi adulti, iniziato nel 1985 e continuato fino al 2020 a intervalli regolari (ogni 3 mesi prima del 1989 ed ogni 6 mesi successivamente). All'inizio dello studio, l'età dei soggetti variava da 27 a 40 anni; prima della fine del follow-up (monitoraggio), i soggetti avevano dai 49 ai 66 anni. Questa ricerca è stata approvata dal Comitato di etica medica del Centro medico dell'Università di Amsterdam.

Dinamica degli anticorpi dopo l'infezione. In alcuni casi, le reinfezioni si sono già verificate sei mesi dopo la prima (su due pazienti) e 9 mesi dopo (in un altro paziente) ma la maggior parte delle volte i nuovi contagi avvenivano a partire dal dodicesimo mese in poi, un po' come capita a tantissima gente con le influenze stagionali. L'unica "certezza", quindi, che non ci reinfetta prima di sei mesi. La dinamica più importante è rappresentata dalla tabella allegata in basso con la lettera C che mostra come, entro i 6 mesi dall'infezione, la maggioranza delle persone ha perso il 50% dei loro anticorpi, arrivando al 75% dopo un anno. Un ritorno completo ai livelli base si è verificato entro 4 anni per la metà delle infezioni dei coronavirus stagionali. Quindi, l'immunità protettiva può essere compresa in un intervallo di tempo che va, mediamente, dai 6 ai 12 mesi. Allo scadere dell'anno, si sarebbe nuovamente esposti come la prima volta.

anticorpi calanti nel tempo
Caratteristiche d'infezione e perdita di anticorpi nel tempo

Infezioni da coronavirus in stagioni variabili. I ricercatori sottolineano come, ad oggi, non sia chiaro se anche Sars-Cov-2 diventerà stagionale ed avrà un picco di prevalenza invernale come osservato per i coronavirus stagionali nei Paesi non equatoriali. Le 4 tipologie di coronavirus oggetto del loro studio, gli Alphacoronavirus ed i Betacoronavirus, chiamati anche "coronavirus umani comuni", mostrano un tipico andamento stagionale e, da maggio a settembre, mostrano la più bassa probabilità di infezione annuale. I ricercatori, quindi, nel loro studio specificano come, in natura, si verificano reinfezioni con tutti i coronavirus stagionali, la maggior parte delle quali entro 3 anni. Se anche Sars-Cov-2 si comporterà come un coronavirus stagionale, ci si può aspettare un andamento simile agli altri.

coronavirus stagionali
Probabilità mensile di infezione dei 4 coronavirus stagionali

Test sierologici, vaccino ed immunità di gregge: tutti i dubbi

I ricercatori olandesi mettono a fuoco un rischio che potrebbe presentarsi nel prossimo futuro: i test basati sulla sierologia per misurare il livello degli anticorpi per le infezioni da Covid-19, potrebbero essere praticamente inutili se l'infezione si sarà verificata più di un anno prima del contagio. Inoltre, gli studi sui vaccini dovrebbero anticipare che l'immunità protettiva prolungata può essere incerta per i coronavirus e che potranno essere necessarie vaccinazioni annuali o semestrali per aggirare la trasmissione in corso. Lo stesso discorso di incertezza è legato alle immunità di gregge, che si verificano quando un'alta percentuale della popolazione diventa immune da un determinato agente patogeno, proteggendo anche gli individui non immuni contro l'infezione e limitandone la diffusione complessiva. Questo effetto è stato osservato per una gran varietà di virus come quello dell'epatite A, il virus dell'influenza A ed il papilloma virus umano. Però, nel caso del Covid-19, raggiungere l'immunità di gregge potrebbe essere molto improbabile a causa della rapida perdita dell'immunità protettiva. I ricercatori, dal canto loro, sottolineano come, per confermare tutto ciò, saranno "necessari ulteriori screening, il nostro studio è stato soggetto a limitazioni", tra cui l'incapacità di sequenziare il genoma del Covid durante l'infezione.

"In conclusione, i coronavirus umani stagionali hanno poco in comune, oltre a causare il raffreddore - affermano gli studiosi - Tuttavia, sembrano tutti indurre un'immunità di breve durata con una rapida perdita di anticorpi. Questo potrebbe anche essere un denominatore comune per i coronavirus umani".

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