Coronavirus

Il vaccino e il richiamo dopo la seconda dose: come sarà il post pandemia

Lo studio più recente indica una durata anticorpale di 7-8 mesi: chi si vaccina entro maggio, dovrà ripetere la vaccinazione nel mese di dicembre. "Necessario procedere con un vaccino a distanza di tempo anche sui pazienti che hanno avuto la malattia”

Il vaccino e il richiamo dopo la seconda dose: come sarà il post pandemia

Il vaccino anti-Covid dovrà essere ripetuto dopo 7-8 mesi dalla completa somministrazione con le due dosi (una nel caso di J&J): la copertura, infatti, è garantita soltanto per quel breve lasso di tempo secondo quanto la ricerca ha scoperto fino ad oggi.

Cosa dice lo studio

Molti esperti lo avevano già detto: chi riceverà la seconda dose entro maggio dovrà ripetere il vaccino entro dicembre. È probabile che, per il cosiddetto richiamo, sia necessaria soltanto una dose ma questo aspetto non è ancora stato ufficializzato. Si sa, però, che bisognerà seguire un iter simile al vaccino influenzale. La conferma è arrivata dall'azienda americana Moderna che, in uno studio dell'Università del Nuovo Galles pubblicato sul sito medrXiv, afferma come la copertura è garantita per un periodo non superiore agli otto mesi.

Quanto durano gli anticorpi?

I primi operatori sanitari che hanno ricevuto la seconda dose a fine gennaio, quindi, dovranno vaccinarsi nuovamente non più tardi della fine del mese di settembre: questo perché la forza degli anticorpi, secondo gli studi più recenti, dura fra i 7 e gli 8 mesi anche se si tratta di una valutazione in divenire. “Si sta valutando la durata degli anticorpi, ad oggi abbiamo solo informazioni che riguardano la protezione fino a sei o sette mesi. Si presume che ci sia una protezione da stabilire per i diversi vaccini e che oscilla tra 9-12 mesi. A quel punto potrebbe esserci la necessità di rinforzare la risposta immunitaria”, afferma al Messaggero il Prof. Fabrizio Pregliasco, virologo dell'università di Milano e direttore sanitario dell'Irccs Galeazzi di Milano. Il discorso non vale soltanto per Moderna ma per tutti i vaccini anti-Covid attualmente in uso sulla popolazione. Stesso discorso va fatto per chi si è immunizzato dopo aver contratto il Covid. “Stiamo osservando anche i soggetti guariti – continua Pregliasco - a sei mesi dalla guarigione e, in piccola percentuale, hanno una risposta anticorpale non permanente. Quindi sarà presumibilmente necessario procedere con un vaccino a distanza di tempo anche sui pazienti che hanno avuto la malattia”.

Il rebus delle varianti

Come stiamo imparando a conoscere, le varianti più pericolose (indiana, brasiliana e sudafricana su tutte) oltre a mettere a rischio gli stessi vaccini, possono far reinfettare chi si è già ammalato. Per questa ragione, l'azienda americana sta cercando di mettere a punto un "aggiornamento" del vaccino ad Rna già presente sul mercato in grado di combattere le varianti finora conosciute ed essere "polivalente". "Stiamo sperimentando sull'uomo due nuove versioni del vaccino: la prima contiene la sequenza della variante del Sudafrica, la seconda è la combinazione di una sequenza genetica del virus mutato e dell'originale. Si punta a trovare formule multivalenti come per l'antinfluenzale. Una dose contro quattro virus": lo afferma al Corriere della Sera Andrea Carfi, Capo della ricerca per le malattie infettive di Moderna, precisando che "stiamo lavorando su vaccini polivalenti" e che "l'obiettivo è riportare i valori degli anticorpi ai livelli ottenuti dopo essere stati vaccinati al completo o aver avuto l'infezione".

"Monitoriamo il virus costantemente"

Merito delle tecnologie moderne, secondo il chimico, che aggiunge che "per queste versioni modificate siamo riusciti ad avviare i test clinici ad appena 30-35 giorni dall'analisi dei dati che dimostravano quanto il virus identificato in Sudafrica fosse capace di diminuire di almeno cinque volte gli anticorpi neutralizzanti. Insomma ci teniamo pronti". Riguardo quanto possa essere minacciosa la variante indiana, "lo sapremo la prossima settimana - afferma -dopo aver raccolto i dati. Noi monitoriamo costantemente e tentiamo di capire in base ai cambiamenti di piccole parti del virus le versioni più pericolose che subito vengono testate in laboratorio. La variante indiana preoccupa un po' perché combina due mutazioni già viste in altre varianti".

Covid meno violento in futuro

Se il virus muta bisogna difendersi. Purtroppo non è la classifica influenza stagionale, ormai lo sappiamo bene, ed è per questo che la terza dose di vaccino sarà necessaria per tutti. Poi si vedrà, anche se una volta messi in sicurezza con l'immunità di gregge, il virus non dovrebbe essere sempre così pericoloso e le vaccinazioni lasciano comunque un'impronta nel nostro organismo grazie alle cellule T, quelle di lunga memoria. "Abituiamoci a pensare che avremo a che fare con il Covid come una presenza fissa negli anni e quindi serviranno campagne vaccinali mirate. Bisognerà certo stabilire con che ampiezza svilupparle in base anche alle composizioni delle nuove varianti.

Possiamo sicuramente contare, in futuro, su una malattia comunque più blanda", conclude Pregliasco.

Commenti