C'è molta gente, in Italia, che auspica misure punitive contro il governo del Cairo perché non vuole ammettere la sua responsabilità (probabile, ma tutt'altro che certa) nel brutale assassinio di Giulio Regeni: a costoro non importa se l'Egitto è uno dei nostri più importanti partner commerciali, non importa se il suo appoggio sarà indispensabile se e quando cercheremo di cacciare l'Isis dalla Libia: il «dittatore» Al Sisi - che tra l'altro ha anche avuto l'avallo elettorale e gode tuttora del sostegno di buona parte della popolazione - va punito per quanto è accaduto al nostro ricercatore.
Ebbene, queste anime belle non tengono conto di una realtà da cui non si può prescindere: con l'eccezione di Israele (e in parte della Giordania e della Tunisia), nel Medio Oriente e nel Maghreb non esistono oggi buoni e cattivi, ma soltanto cattivi e pessimi. A meno che non vogliamo estraniarci completamente dalla regione, quasi fossimo l'Islanda, dobbiamo perciò adeguarci. Al Sisi non è certamente un santo, ha fatto uccidere o incarcerare centinaia di oppositori - tra cui forse, sciaguratamente, anche un nostro giovane connazionale - ma chi c'era prima di lui era peggio e chi potrebbe venire dopo (gli islamisti) sarebbe peggio ancora.
Lo stesso discorso vale per tutti i nostri rapporti nella regione. L'Iran, anche dopo l'ambiguo accordo sul nucleare, rimane un Paese fondamentalmente nemico dell'Occidente, che sponsorizza il terrorismo, vuole cancellare Israele dalla faccia della terra, in cui si impiccano centinaia di persone l'anno e numerosi europei e americani hanno fatto una brutta fine. Ciò nondimeno, abbiamo accolto il presidente Rouhani con tutti gli onori, quasi lusingati dal fatto che abbia fatto di Roma la prima tappa del suo viaggio europeo, e abbiamo concluso con lui affari miliardari. Per l'occasione, visto che non ci sono (per quanto se ne sa) italiani nelle carceri di Teheran, abbiamo chiuso tutti due gli occhi sulle innumerevoli violazioni dei diritti umani da parte degli ayatollah. In fondo, è stato il ragionamento, se gli avessimo rifiutato quello che chiedeva, lo avrebbe ottenuto dagli altri.
Siamo anche, da sempre, buoni amici dell'Arabia Saudita, Paese dove si decapitano 47 persone in una sola sessione e la democrazia è una brutta parola, ma che è il maggiore produttore del mondo di petrolio e per giunta ha (o almeno aveva prima della grande crisi) un sacco di soldi da investire. Possiamo solo sperare che nessuno dei nostri giovani attivisti che si muovono per il mondo vada a impicciarsi nei suoi affari interni, perché farebbe la fine del povero Regeni. Se succedesse, faremo magari passare i sauditi dalla categoria dei cattivi a quella dei pessimi, ma non potremmo egualmente prescindere dall'intrattenere rapporti con loro.
Dalla Siria, per fortuna, siamo riusciti finora a tenerci abbastanza lontani, a parte il probabile assassinio di padre Dall'Oglio e vari rapimenti, per fortuna conclusi senza vittime. Qui non ci sono neppure cattivi e pessimi, ma solo pessimi e qualcosa di peggio che non riesco a trovare sul vocabolario. Formalmente, siamo per la rimozione del presidente Assad, massacratore del suo popolo, ma poi dobbiamo ammettere che oggi egli combatte dalla nostra parte contro un nemico ancora peggiore: l'Isis. Né dobbiamo illuderci che il tanto auspicato governo di unità nazionale che da mesi vagheggiamo per la Libia, perché dia con il suo avallo una vernice di legittimità all'indispensabile intervento occidentale, sarà composto da tanti gentiluomini. Ha detto bene il segretario di Stato americano Kerry che, dopo avere eliminato un Gheddafi con il pretesto che minacciava di massacrare il suo popolo, rischiamo di trovarcene cinquanta. Eppure, bisognerà in qualche modo trattare con loro, pagarli sottobanco, cedere ai loro ricatti, perché la posta in gioco, impedire all'Isis di impadronirsi della Libia e salvare i suoi giacimenti petroliferi, è più importante degli scrupoli che ci possiamo fare sui loro metodi.
Se la cosa può consolare almeno in parte le anime belle, i nostri partner occidentali si comportano ancora peggio.
È addirittura patetico il modo in cui, proprio in questi giorni, la signora Merkel, la donna più potente del mondo, è andata a pietire da Erdogan un aiuto per fermare la marea di profughi dalla Siria, promettendogli soldi, agevolazioni nei visti, ripresa dei negoziati per l'adesione della Turchia all'Ue, facendo finta di ignorare la sempre più accentuata deriva totalitaria del Paese e l'appoggio occulto dato ai jihadisti. È la Realpolitik, bellezza! E che piaccia o non piaccia, in Medio Oriente non se ne potrà mai fare a meno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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