Fai un salto a Palazzo Madama e Dario Stefàno sbarra gli occhi pensando a ciò che succede nel Pd: «Siamo su Marte, altroché». Due passi alla Camera e l'interesse per l'astronomia non viene meno. «Il nostro sembra davvero un dibattito su Marte - ammette il piddino siciliano Fausto Raciti - noi siamo lassù mentre Salvini, insieme a Bonaccini, due settimane fa proponevano di guardare al vaccino russo, a Sputnik. E ora Draghi fa la stessa cosa. Anche questa posizione sul condono non è che mi convinca. Io sono figlio di professionisti, so che problemi hanno ora negli anni del Covid. Non parliamo delle multe: è come se nel 1946 lo Stato avesse inviato a un cittadino una cartella esattoriale per incassare una multa fatta nel 1936, dimenticando che nel mezzo c'era stata la guerra».
All'epoca dell'Ulivo, 15 anni fa, Corrado Guzzanti lanciò una serie di sketch comici (ebbero un tale successo che addirittura furono raccolti in un film) dal titolo Fascisti su Marte: una parodia demenziale del Ventennio ambientata sul pianeta rosso. Ebbene, il Pd di oggi sembra una parodia dell'Ulivo ambientata sulla Terra di oggi, talmente sconvolta dalla pandemia, da sembrare Marte: purtroppo non si tratta di una finzione, ma della realtà. C'è il rischio, infatti, che il progetto politico dell'Unione di Romano Prodi di allora, riveduto e corretto, nel rapporto con i grillini (oggi Enrico Letta incontrerà Giuseppe Conte) sfoci anch'esso in una parodia. Basta pensare alla distanza tra i temi trattati dal nuovo segretario in queste settimane e le tragedie del presente: ius soli, voto ai sedicenni, Mattarellum, polemica sulle cartelle esattoriali. Anche la questione delle donne al vertice del Pd, introdotta con l'argomento della parità di genere, si è trasformata in un'operazione per liquidare quel che era rimasto del gruppo dirigente renziano. Un artificio degno dei tempi dell'Unione, delle guerre tra Prodi, D'Alema e Veltroni. Era stato facile profeta proprio Matteo Renzi il giorno della nomina a segretario del successore di Zingaretti: «Il suo tratto distintivo? È estremamente vendicativo».
In fondo ci può anche stare. È legittimo che un segretario tenti di plasmare il gruppo dirigente del partito a sua immagine e somiglianza. O almeno che tenti di farlo. In fondo molti leader di partito, dal carattere apparentemente mite, sono stati in passato catalogati nella singolare specie dei «conigli mannari»: da Arnaldo Forlani a Walter Veltroni ed oggi Letta. «Ha cambiato più Enrico in due settimane - ha confidato Pierluigi Bersani ai suoi - che Zingaretti in due anni». Quello che, invece, non ci sta proprio è che il Pd oggi sembri avulso dalla realtà, o meglio dal dramma, dalla tragedia del Covid. Se ne sono accorti pure i nuovi alleati del cuore, i grillini. «Ai miei che si lamentano per come siamo messi - confessa il 5stelle Luca Carabetta - rispondo sempre: Ma non vedete in che condizioni è il Pd?. Pensano solo alle loro cose o a polemizzare con la Lega. Intanto Salvini propone lo Sputnik e gli vanno dietro Draghi, l'Ema. E il nostro viceministro alla Sanità Sileri, per competere con lui, magari esagerando, apre pure al vaccino cinese». «Il problema dei piddini? - si domanda il numero due del gruppo grillino al Senato, Andrea Cioffi -. Sono borghesi. Distanti dai problemi. Non per nulla a Roma vincono solo nel primo e nel secondo municipio».
E questi sarebbero gli alleati privilegiati, l'altro pilastro su cui, secondo Letta, si dovrebbe reggere l'asse della riedizione dell'Unione. Figurarsi gli altri. «Il perno del progetto politico del nuovo corso del Pd - non si fa illusioni Carlo Calenda - è il rapporto con i 5stelle. Se poi ci siamo anche noi, lui è contento. Ma siamo aggiuntivi. Solo che io sono convinto che una replica dell'Unione di Prodi non vada da nessuna parte. Si rimetterebbe in piedi un'armata Brancaleone conflittuale al suo interno. Cosa che a noi non interessa». Basta pensare che una direttiva dell'Unione europea sulla presunzione d'innocenza, recepita dall'Italia 4 anni fa, è ferma, non ha una legge delega, malgrado che nella maggioranza extra-large di Draghi siano tutti d'accordo, perché c'è un veto dei 5stelle. Motivo che ha spinto il ministro della Giustizia Cartabia a chiedere agli altri partiti di soprassedere.
E questo governo ha pure una maggioranza ampia che potrebbe fare a meno di Grillo e i suoi. Immaginatevi cosa potrebbe succedere in una coalizione più ristretta, di colore giallo-rosso, dove il veto 5stelle avrebbe sicuramente maggior rilievo: si rischierebbe di ripetere l'esperienza di 15 anni fa, con il gruppo dirigente della nuova Unione, con dentro la nuova edizione dei 5stelle con un bel 2050 stampato sul nuovo simbolo (è l'anno fatidico secondo l'Elevato), che si ritroverebbe a far vertici di maggioranza e incontri al Castello di Gargonza o all'abbazia di Contigliano sullo sfondo del pianeta rosso, ricostruiti puntigliosamente sul set della nuova serie Piddini su Marte.
La verità è che in politica le contraddizioni vanno risolte e non accantonate. E quelle accumulate da Zingaretti, malgrado gli sforzi di Letta, restano tutte. «Quando stai fermo - ironizza il piddino siciliano Carmelo Miceli - fai finta di muoverti. Almeno questo mi ricordo di Sun-Tzu». Magari sarà una nuova edizione dell'Arte della guerra dedicata ai problemi del Pd. Certo è che mentre Letta si sforza di dimostrare che il governo Draghi è il governo del Pd («il tuo governo è il nostro governo», ha detto il segretario allo stesso premier), c'è un pezzo di partito che mostra nostalgia verso il passato, non nega per nulla di essere orfano di Conte. Anzi. «Avete voluto il governo dei migliori?», sbotta senza nascondere il sarcasmo l'ex ministro Francesco Boccia. « E ora tenetevelo!».
Insomma, la questione è ancora irrisolta. La sostituzione dei due capigruppo Delrio e Marcucci, cioè di due degli esponenti dei più convinti dell'opportunità dell'operazione Draghi, anche se motivata con un riequilibrio del vertice del partito «in rosa», lo dimostra. Specie se il dibattito nel partito se non proprio marziano, resta almeno lunare. «Siamo solo agli inizi tenta di minimizzare Delrio - ma dobbiamo cominciare a parlare anche dei problemi dell'oggi, dei vaccini». Mentre la più probabile candidata a sostituirlo, Debora Serrachiani, si dilegua: «Se andrò io al posto di Graziano? Non lo so, non so neppure se sono in corsa. Dipenderà da una valutazione politica». La verità è che se al confronto sulla linea politica, sostituisci una discussione sul sesso dei capigruppo, cambia ben poco: come dice il Sun-Tzu piddino «stai fermo ma fai finta di muoverti».
«Qui c'è l'epidemia si sfoga Rosaria Maria Di Giorgi, che non può certo essere accusata di maschilismo e noi parliamo di queste cazzate. Ora abbiamo il problema delle donne. Ma su! Eppoi ci lamentiamo se ci prendono per il sedere».
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