Cronache

Devono farli anche le strutture private

Il ritmo di somministrazione dei vaccini è aumentato, rispetto ai primissimi giorni ma i conti non tornano lo stesso

Devono farli anche le strutture private

Il ritmo di somministrazione dei vaccini è aumentato, rispetto ai primissimi giorni ma i conti non tornano lo stesso. Il rischio è che non torneranno mai per un motivo ideologico. Un governo pervicacemente statalista si appresta a ripetere gli stessi errori commessi con i tamponi e le mascherine.

Al netto dei limiti strutturali delle Regioni e degli svarioni di Arcuri su siringhe e arruolamento del personale sanitario, se anche arrivassimo a somministrare tutte le 470mila dosi di vaccino a settimana che ci manda la Pfizer (e per ora siamo ben lontani) non raggiungeremmo mai l'obiettivo dell'immunità di gregge. Ieri, buoni ultimi, rifanno i calcoli Tito Boeri e Roberto Perotti su Repubblica: considerando la soglia minima del 75% di popolazione protetta dal vaccino, ci vorrebbero almeno 1,5 milioni di iniezioni a settimana. Altrimenti il primo 25% che riceve il farmaco vedrà svanire il periodo di copertura, un anno nelle ipotesi più ottimistiche, prima che sia vaccinato il restante 50%.

Alla luce dei limiti strutturali delle pubbliche amministrazioni sia statali che regionali, il modo più semplice ed efficace per estendere la copertura è coinvolgere i privati nella somministrazione. Ma bisogna vincere resistenze culturali fortissime. E non solo nel governo. Lo dimostra l'esperienza della Fondazione Einaudi che da qualche giorno ha lanciato proprio la proposta di dire «no alla socializzazione del virus», cioè rifiutare il monopolio dello Stato sulla somministrazione consentendo a chi vuole e può di farsi praticare l'iniezione privatamente. Dal medico di base, nella farmacia sotto casa, nei tanti poliambulatori. Pagando di tasca propria. «Sui social abbiamo raccolto tante adesioni -spiega Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione- ma anche un numero incredibile di insulti e minacce. L'accusa più comune è di voler favorire gli affari privati. E molti lo dicono aggiungendo che chi ha interessi privati è certamente malavitoso o disposto a sacrificare la vita per soldi. Eppure nessuno ha parlato di sottrarre il vaccino ai meno abbienti. Ma il pregiudizio è così forte -conclude- che si preferisce vedere 740mila dosi in frigo, le persone che muoiono e la vaccinazione che fallisce piuttosto che cercare una strada di buonsenso, prima ancora che di mercato».

Il problema non è ancora emerso del tutto perché nella prima fase la vaccinazione è riservata giustamente ad ambienti istituzionalizzati: ospedali e Rsa. Ma quando si passerà al resto dei cittadini, il rischio di un flop diventerà evidente. Come con i tamponi: quando a praticarli erano solo strutture pubbliche, si sono formate code di ore e il tracciamento è saltato. La situazione è migliorata con una pur parziale liberalizzazione. Eppure, si ragiona dalla Fondazione, chi pagherà per vaccinarsi aiuterà il servizio pubblico con il proprio denaro e liberando risorse utili per le vaccinazioni gratuite. E, a patto di acquistare dosi sufficienti, la pratica privata non sottrarrà nulla a quella pubblica.

Vallo a spiegare a chi non vede l'ora di gestire Ilva e Alitalia.

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