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"Ho scavalcato le persone a pezzi", quella strage che si poteva evitare

Cinque anni fa, il 12 luglio 2016, si consumava uno dei disastri ferroviari più gravi del nostro Paese, che costò la vita a 23 persone, i cui parenti ancora oggi chiedono che sia fatta giustizia

"Ho scavalcato le persone a pezzi", quella strage che si poteva evitare

Scalza, ho tolto le macerie e le lamiere e mi sono messa a gridare. Ho scavalcato le persone a pezzi…”. Queste le agghiaccianti parole di una donna, superstite del più violento incidente ferroviario accaduto in Puglia. Sono le 11.06 del 12 luglio 2016, quando si avverte un boato provenire dalla campagna tra Andria e Corato. È un fragore di lamiera che stride, ed è così forte che lo sentono fino al centro di Corato. Quando i soccorsi arrivano sul posto si trovano davanti una scena apocalittica, surreale. Ci sono pezzi di lamiera ovunque, sparsi in mezzo agli ulivi, fino a 100 metri di distanza. E poi le urla: grida di dolore provengono da tutta la campagna.

Le forze dell’ordine e i soccorritori impiegano un istante a constatare che il tremendo fragore proveniva da due treni della Ferrotramviaria, che si sono scontrati frontalmente. Dei due convogli ora resta un groviglio d’acciaio, a testimonianza della violenza dell'impatto. Il treno che veniva da Corato è adagiato sopra l'altro treno, come se la velocità dello scontro lo avesse fatto volare in aria. Siamo al chilometro 51 del tratto ferroviario Bari-Barletta, dove il restringimento dei binari costringe i convogli a transitare su un binario unico. I vigili del fuoco e i soccorritori arriveranno da ogni parte del sud Italia per aiutare: da Bari, Foggia, perfino da Matera, Caserta e Avellino.

Viene approntato un ospedale da campo per prestare i primi soccorsi ai feriti, e l'appello dell'Avis e degli ospedali a donare il sangue per i feriti più gravi, viene accolta da tutta la Puglia. Per trentadue ore si lavora incessantemente per estrarre fuori dalle macerie il maggior numero di passeggeri, ma da subito ai soccorritori è chiara la portata del disastro: uno dei treni ha solo due vagoni su quattro intatto, l'altro uno. Il bilancio è di ventitré morti e cinquantuno feriti, giovani che si stavano godendo un viaggio estivo, pendolari che si recavano al lavoro, ma anche pensionati e madri di famiglia.

Le vittime

Incidente Andria-Corato

A perdere la vita sul colpo saranno i due macchinisti, Pasquale Abbasciano, che all’epoca era prossimo alla pensione, e Luciano Caterino, di soli 37 anni. È stato grazie all’anello di fidanzamento che è stata riconosciuta Jolanda Inchingolo, una giovane di 25 anni prossima alle nozze. Giuseppe Acquaviva, agricoltore, non viaggiava su uno dei treni, stava lavorando nei campi nei pressi dello scontro, ed è rimasto ucciso dalle lamiere, schizzate in aria nell’area circostante, dopo la collisione. E poi Francesco Tedone, appena sedicenne, rientrato da un anno in Giappone, che quel giorno stava andando ad Andria per perfezionare l'iscrizione al quinto anno di scuola superiore.

Ventitré nomi, ventitré vite spezzate da quello che da subito fu definito un errore umano nella gestione del traffico ferroviario, aggravato da una serie di altri fattori come la mancata formazione del personale e il mancato ammodernamento della rete ferroviaria.

Patty Carnimeo, 30 anni, saliva su quel treno per recarsi al lavoro a Bari tutti i giorni e lo fece anche quel maledetto 12 luglio, lasciando una bimba di due anni. Sono tanti i nomi delle vittime di un disastro che si sarebbe potuto evitare. I familiari oggi cercano ancora la verità, come si legge sulla pagina Facebook Astip (Associazione Strage Treni in Puglia 2016), dove puntualmente vengono forniti aggiornamenti sul processo in corso. Ma soprattutto chiedono giustizia per i propri cari che non ci sono più.

La dinamica dell’incidente

Incidente Andria-Corato

Ma cosa ha portato i due treni a scontrarsi e soprattutto, a viaggiare contemporaneamente? È evidente che quella mattina del 12 luglio di 5 anni fa ci fu un problema nelle comunicazioni, e che uno dei due convogli non sarebbe dovuto transitare su quel maledetto binario. Nella parte della rete ferroviaria a binario unico vige il regime di circolazione a blocco telefonico. Questo significa che ogni capostazione, prima di autorizzare la partenza di un treno atteso nella sua stazione, ottenga il “via libera” dal capostazione della stazione in cui il treno dovrà effettuare la fermata successiva. Un sistema ormai superato, che avrebbe dovuto essere sostituito dal blocco automatico da tempo. “Fa dunque particolarmente accrescere la rabbia e senso di ingiustizia - si legge sul blog Giustizia per Andria-Corato - sapere che la Regione Puglia avesse stanziato finanziamenti per realizzare l’ammodernamento della tratta per contribuire alla sicurezza della stessa e che i vertici societari invece avessero convogliato quei fondi alla produttività della infrastruttura e quindi agli utili che poi hanno incassato i soci”.

Quel giorno qualcosa si è inceppato, e il treno proveniente da Andria è partito in contemporanea a quello in arrivo da Corato, dando luogo a uno dei disastri ferroviari più gravi mai avvenuti in Italia. Il destino beffardo ha fatto sì che non vi fosse la minima possibilità da parte dei due macchinisti di evitare lo scontro. L’incidente infatti ebbe luogo su una curva affiancata da alberi di ulivo, che resero impossibile ai macchinisti accorgersi dell’altro treno in arrivo.

Le indagini

Subito dopo l’incidente, la procura di Trani ha avviato le indagini per i reati di omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario. La società Ferrotramviaria è stata accusata di non aver disposto l’adeguamento tecnologico sulla tratta Bari-Barletta, nonostante negli anni vennero aperti fascicoli inerenti a molti altri “incidenti sfiorati” sulla medesima tratta. La Bari-Barletta, su cui transitavano ogni giorno decine e decine di convogli, non era sicura e questo non era una novità. I fascicoli aperti, e mai segnalati all’Ustif, l’ufficio addetto ai controlli sulle tratte regionali, parlano di “grave e concreto rischio per la salute” causato dalle condizioni della tratta in questione. Dopo vari rinvii a giudizio, il 13 maggio di quest’anno è ripreso il processo, che vede imputati 17 impiegati dalla Ferrotramviaria, tra dirigenti e dipendenti.

Sotto accusa anche dirigenti del Ministero dei Trasporti e dell’Ustif, accusati di disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni gravi colpose, omissione dolosa di cautele, violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e falso.

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