«Il nostro Paese reggerà l'urto dell'inverno a condizione che si rispettino le regole, si usino le mascherine, si controllino ovunque i green pass e si diffonda il più possibile la terza dose. In caso contrario, la pandemia è pronta a ripartire: stiamo camminando sopra uno strato di ghiaccio, se è spesso possiamo camminarci sopra, se diventa sottile rischiamo di cadere nell'acqua gelida». Parola di Roberto Battiston, professore di fisica sperimentale dell'università di Trento e coordinatore del locale Osservatorio del dato epidemiologico.
Professore, cosa dobbiamo aspettarci a fine mese?
«Oggi osserviamo una crescita del virus con un ritmo lento, anche i parametri relativi ai ricoveri e alle terapie intensive crescono in modo contenuto. Al ritmo attuale di 40-50 morti al giorno, fanno 1.000-1.500 al mese, un numero che non è per nulla trascurabile, ma sono ben poca cosa se pensiamo che nel passato ne abbiamo contati anche 1.000 al giorno e che in totale ne abbiamo avuti più di 133mila».
Quali sono le criticità oggi?
«Gli assembramenti, le manifestazioni dei No Vax e dei No Pass che sono orgogliosi di stare vicini senza protezioni».
Si riferisce a Trieste?
«È certamente un caso clamoroso, il contagio è andato fuori controllo: abbiamo 370 infezioni su 100mila abitanti, non ne abbiamo contate tante neppure nei giorni peggiori della pandemia. Un caso che ci deve fare riflettere su quello che può accadere quando la gente se ne infischia del Covid. Dove si è stati troppo permissivi, il virus ha ripreso a correre. Se questo andamento diventasse la norma per il Paese ricadremmo in un'ondata violentissima».
Quindi è giusto limitare le manifestazioni?
«Quei comportamenti di negazione di un rischio assolutamente evidente sono come delle micce buttate nella benzina. Mettono in difficoltà seria una città, una regione. Molti triestini pagheranno nei prossimi mesi, con ricoveri e decessi, queste forme di irresponsabilità. È una situazione gravissima. Chi si è contagiato in piazza ha poi portato il virus in famiglia, ai bambini e ai parenti».
Il resto dell'Italia come sta andando?
«Nella stragrande maggioranza del Paese la situazione è sotto controllo. L'Italia nel complesso è a 50 in incidenza settimanale. Solo dove si è vaccinato di meno o ci sono stati importanti fenomeni di piazza senza protezioni, i contagi crescono. A Bolzano l'incidenza settimanale è a 151, a Gorizia a 120, in Friuli siamo a 118. In Campania siamo al 74, in Veneto 69, in Lazio si scende a 59, in Lombardia ci fermiamo addirittura ad 32, in Sardegna a 15. C'è una variabilità enorme: dove vengono attivate sistematicamente le misure di protezione senza creare falle si torna a vivere una vita quasi normale».
Ma le vaccinazioni vanno a rilento. Ha idea di quando raggiungeremo l'immunità di comunità?
«Solo quando avremo vaccinato i bambini che sono 6,6 milioni. Se non sono vaccinati non potremo raggiungere l'immunità di gregge per la variante delta, che corrisponde a circa l'88%. Attualmente la copertura dell'intera popolazione è del 78,7%. C'è un 21,3% degli italiani composto da giovani non vaccinabili e da vaccinabili ancora indecisi o refrattari all'iniezione».
Dunque non arriveremo mai alla copertura vaccinale di sicurezza?
«Il livello di vaccinazione è comunque molto alto e la terza dose porterà il livello di protezione rispetto al contagio intorno al 95%. Ora con il doppio vaccino siamo all'incirca all'80%, con un rischio del 20% di ammalarsi, sia pure in modo non grave. Il booster va esteso anche sotto la soglia critica dei 60 anni. Così si può abbattere quasi totalmente anche il rischio di essere attaccato dal virus una volta vaccinati».
Dobbiamo seguire il modello Israele?
«I risultati di quel Paese si sono spesso dimostrati utili. A differenza dell'Inghilterra la cui prassi è meglio non seguire».
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