Due popoli, due Stati (E le colpe di tutti)

Non si può infatti allegramente ignorare la storia che, dal 1948 ad oggi, racconta di un continuo protervo rifiuto (fino ad Oslo) delle varie leadership palestinesi a riconoscere il diritto all'esistenza dello Stato di Israele

Due popoli, due Stati (E le colpe di tutti)

"Due Popoli, due Stati": intorno a questo mantra si continua a mettere in scena un vero e proprio festival internazionale dell'ipocrisia. A cominciare dalla formula in sé, non certo priva di ambiguità. Sarebbe molto più corretto, infatti, dire "due popoli, due democrazie"; giacché è del tutto evidente che se l'eventuale Stato palestinese fosse uno Stato "terrorista", a guida di Hamas o di altri gruppi eversivi, esso non sarebbe certo un aiuto alla pace. Perciò, prima di riconoscere lo Stato di Palestina, come molti si sono affrettati a fare, sarebbe necessario che la comunità internazionale, oltre a individuarne il territorio, discutesse anche il suo modello di sovranità e le sue possibili leadership. In caso contrario, la nobile idea di una coesistenza pacifica tra i "due popoli" resterebbe sempre e soltanto una pia illusione. Ebbene, attualmente le leadership palestinesi si dividono tra il macabro terrore di Hamas e la corrotta inanità dell'Anp. Quale tipo di Stato, allora, si intende riconoscere? È chiaro che l'ansia di farlo "a prescindere" risponde alla volontà di opporsi alle politiche di Netanyahu, ma la storia del conflitto israelo-palestinese è stracolma di decisioni assunte senza alcun rapporto con la verità. E i risultati sono ancora sotto i nostri occhi.

Altro lampante esempio di ipocrisia è la polemica sulle responsabilità della mancata nascita dello Stato palestinese. Sul banco degli imputati oggi c'è solo lo Stato d'Israele. Ma non è così. Non si può infatti allegramente ignorare la storia che, dal 1948 ad oggi, racconta di un continuo protervo rifiuto (fino ad Oslo) delle varie leadership palestinesi a riconoscere il diritto all'esistenza dello Stato di Israele. Ma, senza tornare indietro nel tempo, basti pensare a Gaza. Dopo che, nel 2005, Sharon l'affidò ai palestinesi, lì sarebbe potuto nascere un vero Stato. Al contrario, Hamas ha usato tutte le sue energie e i suoi fondi (non pochi) per costruire tunnel e soggiogare il proprio popolo, non certo al fine di dotarlo di moderne strutture civili. Fino all'orrore del 7 ottobre. È lecito allora domandarsi: i gruppi dirigenti palestinesi hanno mai davvero voluto un proprio Stato? Una seconda grande responsabilità è quella degli Stati arabi della regione. Tutti sempre pronti a "usare" la questione palestinese contro Israele, mai a "risolverla" sul serio. Solo la recentissima presa di posizione della Lega Araba per "il disarmo di Hamas" ha interrotto la teoria di guerre contro Tel Aviv intrecciate sempre con codardi opportunismi. Eppure tutti sanno che solo un "patto" tra Israele e gli altri Stati della regione potrebbe permettere una pace duratura. Ma si tornerà mai agli "accordi di Abramo"?

Infine arrivano le responsabilità di Israele. Quelle della destra religiosa che, dopo essersi opposta agli accordi di Oslo, spinse la mano di un suo adepto ad assassinare Rabin. E quelle di Netanyahu che, da sempre, vuole impedire la nascita di uno Stato palestinese. Ieri, aiutando Hamas (anche finanziariamente) a prevalere sull'Anp. Oggi, distruggendo Gaza e occupando la Cisgiordania, preparando, dopo inaudite stragi, una deportazione di massa dei palestinesi. Ma la distruzione di Hamas, giustificata (mai dimenticarlo) dal massacro del 7 ottobre, non avrebbe mai dovuto spingersi fino alla negazione del diritto all'esistenza di un intero popolo. Come si vede, alla stregua di un romanzo di Agatha Christie, i colpi mortali contro la pace non hanno un solo colpevole. Perciò ipocrisie e faziosità, oggi straripanti, non dovrebbero avere alcuna cittadinanza. L'immarcescibile odio dei palestinesi, l'opportunismo degli Stati arabi, il criminale ruolo di Teheran, gli errori di Netanyahu, l'ignavia dell'Onu, l'incertezza dell'Occidente e in specie dell'Europa nella quale riaffiorano persino sentimenti antisemiti. Tutte queste "colpe", sommate, spiegano la tragedia di oggi.

Sembra quasi che, nel millenario crocevia di religioni depositato in quelle terre, si confrontino ancora Medioevo e Modernità. Forse c'è, in quell'incrocio di fedi e di profeti, qualcosa che non riesce a parlare il linguaggio della pace. Eppure si confrontano diritti di pari legittimità.

Da una parte quello all'esistenza e alla sicurezza dello Stato d'Israele. Dall'altra quello alla patria (e alla democrazia) del popolo palestinese. Se questi due diritti continueranno a farsi la guerra il futuro non potrà che essere sempre più buio.

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