La lista di deputati e senatori che bussano alla porta è lunga. Al punto che qualche tempo fa Giancarlo Giorgetti ha buttato giù un foglio con la «contabilità» dei potenziali nuovi ingressi e l'ha consegnato con fare un po' svogliato a Matteo Salvini. L'espressione del viso dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio era tutto un programma, come a dire «guarda un po' chi si rivede», un misto di disappunto e ironia. Al di là della diffidenza per i tanti che oggi brigano nella speranza di assicurarsi un seggio sicuro con il Carroccio alle prossime elezioni, il punto è però un altro. Dopo gli ultimi due anni in cui Salvini ha spinto forte l'acceleratore sui temi identitari molto cari alla destra, oggi esiste un grande spazio di manovra anche al centro dello schieramento. E con la gigantesca incognita della riforma elettorale è evidente che quello spazio può alla fine essere determinante per le sorti della futura sfida elettorale.
È per questa ragione che Salvini pare si stia lentamente convertendo sulla via della moderazione. Dopo i primi giorni di sbandamento seguiti all'incredibile autogol che in agosto lo ha portato a far saltare il Conte 1 - una decisione di cui si è con tutta evidenza pentito, altrimenti non avrebbe inseguito Luigi Di Maio arrivando perfino a proporgli Palazzo Chigi pur di sventare un governo M5s-Pd - il leader della Lega ha infatti di molto ricalibrato temi e toni della sua comunicazione. La presenza pubblica continua - come è sempre stato - ad essere costante. In particolare in Umbria, dove si andrà al voto il 27 ottobre. Una partita che Salvini considera il primo passo per «mandare a casa un governo di incapaci, poltronari e traditori». A differenza del passato, però, l'ex ministro dell'Interno sembra aver cambiato target. Nel mirino ci sono soprattutto Giuseppe Conte e Matteo Renzi, seguiti a distanza da Di Maio. Escono invece dal «paniere» dei bersagli preferiti l'Europa e l'euro. E quando capita ci sia da commentare l'elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue le critiche sono sì decise ma mai scomposte (come accaduto in passato con il suo predecessore Jean-Claude Juncker, definito più volte da Salvini «un ubriacone»).
L'impressione, insomma, è che il leader della Lega abbia capito la lezione agostana, visto che è probabile che il suo essersi fatto terra bruciata su tutti i fronti (l'Ue, ma anche Berlino, Parigi, Washington, il Vaticano e i mercati) non l'abbia aiutato nei giorni della crisi. E che stia iniziando a guardare al grande spazio elettorale che esiste al centro dello schieramento, la zona del campo dove spesso si giocano i destini delle elezioni. Così, non solo gli attacchi all'Europa sono spariti dai radar, ma anche gli affondi sull'euro e quel continuo strizzare l'occhio a un'eventuale uscita dell'Italia dalla moneta unica è finito nel cassetto. Al punto che Alberto Bagnai e Claudio Borghi - rispettivamente presidente della commissione Finanze del Senato e del Bilancio della Camera - sono stati scientificamente silenziati. Niente più accelerazioni o minacce di Italexit. E basta anche con proposte tra lo strampalato e il provocatorio come fu quella dei minibot che a Borghi costò un deciso rimbrotto persino da Giorgetti.
Salvini, insomma, prova a riequilibrare una Lega che negli ultimi due anni si è di molto spostata a destra, tanto dallo stringere rapporti e condividere piazze persino con Casapound.
Un assetto troppo sbilanciato per chi si vuole proporre come leader di tutto il centrodestra e, dunque, candidato premier. E chissà non sia per la stessa ragione che l'ex ministro dell'Interno ha smesso di brandire il rosario nei comizi. Un gesto forte, ma che pare non scaldasse affatto i cuori dei cattolici moderati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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